di Angelo Picariello
Avvenire, 5 febbraio 2023
“Non si può confondere il dibattito sul 41 bis, con la necessità di garantire le cure necessarie a ogni detenuto”. Per Marcello Bortolato, presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze, “questo istituto va mantenuto, ma adeguato ai parametri europei e privato di restrizioni inutilmente vessatorie”.
Bortolato è stato componente di varie commissioni di riforma dell’ordinamento penitenziario con i ministri Cancellieri, Orlando e infine Cartabia partecipando con quest’ultima al gruppo di lavoro sulla giustizia riparativa. Ha pubblicato con il giornalista Edoardo Vigna, per Laterza, il libro “Vendetta pubblica. Il carcere in Italia”.
Che riflessione trae dalla discussione sul regime di 41-bis originata dal caso di Alfredo Cospito?
Che è sbagliato anteporre il dibattito politico circa l’abolizione del 41-bis, da ritenere ancora indispensabile purché emergenziale e temporaneo (come recita la stessa rubrica dell’articolo), alla necessità di tutelare il detenuto da ogni forma di aggressione, anche autoinferta. La posizione di protezione dello Stato non contempla un diritto a morire e non esclude, a mio giudizio, interventi coattivi pur nel rispetto della dignità umana. Ove la dissuasione tramite il dialogo e il sostegno non soccorrano, ritengo si possa attuare finanche un’alimentazione forzata. Dal lato umano penso che qualunque detenuto che attui uno sciopero della fame riveli in realtà il desiderio di vivere piuttosto che di morire.
Si possono divulgare i contenuti di intercettazioni di detenuti sottoposti al regime di carcere duro?
Mi riporto a quanto detto dallo stesso Ministro, il contenuto di quelle conversazioni “per sua natura” è sensibile. Se costituisca anche segreto d’ufficio in quanto riportato in una relazione redatta da Pubblici ufficiali sarà la magistratura penale a stabilirlo.
Quali sono i limiti per i parlamentari che vanno a visitarli?
Va distinto il diritto di visita dal diritto al colloquio, regolati da norme differenti: gli articoli 67 della legge e 117 del regolamento attribuiscono la facoltà di visita ai parlamentari solo al fine di verificare le condizioni di vita dei detenuti con i quali possono parlare, sempre alla presenza degli agenti, ma non ad esempio “trattare con imputati argomenti relativi al processo penale in corso”. Nessuna norma impedisce però di rivelare il contenuto delle dichiarazioni ricevute, di per sé non oggetto di segreto. Il “colloquio” in senso tecnico, anche con i familiari, ha invece un regime differente e, per i detenuti in 41-bis, è sottoposto a rigorose restrizioni: solo pochi soggetti (magistrato, difensore e Garante nazionale) possono avere colloqui riservati non sottoposti a registrazione. In teoria anche in questi casi non sembra esservi limite alla divulgazione a meno che ciò sia di pregiudizio alle indagini o alla sicurezza nazionale.
Al fondo sembra esserci un problema culturale sul principio costituzionale di umanità e finalità rieducativa della pena...
Questo è il tema di fondo. La questione sta oscurando il dibattito sulla finalità della pena e lo stato delle carceri in Italia. La Costituzione non solo rende obbligatorio il finalismo rieducativo anche verso gli autori di gravissimi reati (di fatto non praticabile per i detenuti in regime differenziato) ma tende a riaffermare il primato della persona umana sopra ogni altro interesse, ancorché irrinunciabile.
Invece in questi casi si invoca spesso di “buttare la chiave”...
Il refrain del “buttare la chiave” e quello del garantismo riservato solo al processo ed all’imputato inquinano il dibattito anche sul 41-bis e non consentono di riportare la discussione nei limiti in cui, ad esempio, era stato ricondotto durante i lavori degli “Stati generali dell’esecuzione penale” del 2015, di cui coordinavo il relativo Tavolo. Fermo restando il suo mantenimento, credo sia necessario adeguare il regime ai parametri costituzionali ed europei, eliminando le restrizioni meramente vessatorie che ne rivelano la natura più afflittiva che preventiva e ripristinare la giurisdizione territoriale dei tribunali di sorveglianza che, avendo competenza sul carcere di assegnazione del detenuto, dispongono di informazioni individualizzanti più idonee a valutare la legittimità del regime.