di Michele Varì
primocanale.it, 29 maggio 2021
È un giallo la morte del detenuto trovato impiccato nella sua cella del carcere di Marassi: Emanuele Polizzi, 45 anni, originario di Vittoria (Ragusa), in galera da quasi due anni per una rapina a sprangate al titolare di una sala giochi, si sarebbe ucciso per la depressione in seguito alla condanna a dieci anni. Aspettava l'appello, ma i suoi nervi non avrebbero retto. Questa è almeno la versione ufficiale che parla di suicidio. Ma sulla testa di Polizzi è stata trovata una ferita e tracce di sangue sono state rilevate su uno sgabello della cella.
La procura vuole vederci chiaro e infatti oggi il procuratore capo Francesco Cozzi, il pm di turno Giuseppe Longo e il dirigente della squadra mobile della polizia Stefano Signoretti hanno svolto un lungo sopralluogo nella cella del carcere di Marassi con gli uomini della sezione omicidi. Primo passo ascoltare la testimonianza dei tre detenuti che erano con la vittima al momento del suicidio e di altri tre reclusi che dormono lì ma in quel momento erano in altre sezioni perché "lavoranti".
Polizzi si è impiccato prima delle nove di stamane. venerdì 28 maggio, con le lenzuola, si è ucciso nell'antibagno: si è chiuso la porticina alle spalle e si è tolto la vita. Possibile che nessuno si sia accorto di nulla in pieno giorno? In linea teorica sì, ma è questa la domanda a cui gli inquirenti stanno cercando di dare una risposta. Altra domanda che potrà fare capire cosa è successo nella cella è l'ora in cui è morto l'uomo.
Per questo il pm ha disposto l'autopsia che sarà svolta dal medico legale Sara Lo Pinto. Il detenuto due settimane fa era apparso molto giù, depresso, durante il colloquio con il suo legale, l'avvocato Silene Marocco, con cui aveva parlato in vista dell'appello, tanto che il legale aveva chiesto che fosse visitato da uno psicologo. Ma venerdì scorso, quando l'avvocato lo ha rivisto, era apparso più sereno, quasi tranquillo. Oggi, nel giorno del decesso, il legale doveva rivederlo, ma ha invece appreso della sua morte.
Polizzi era molto scosso perché non si aspettava di essere condannato a ben dieci anni per una rapina, violenta, ma che non aveva provocato lesioni gravissime alla vittima. Era accaduto in via Bologna, a San Teodoro. Con lui c'era anche un complice albanese, dopo il colpo sparito nel nulla. Ad aggravare la posizione del quarantaseienne sono stati due fattori: i tanti e gravi precedenti penali e il fatto che non ha mai ammesso nulla pur davanti a prove schiaccianti, perché nel portone dell'aggressione erano state trovate le sue impronte e il suo furgone era stato inquadrato dalle telecamere proprio in via Bologna nell'ora della rapina.
Una negazione totale di ogni addebito che aveva convinto il suo storico legale, l'avvocato Giovanni Maria Nadalini, a dismettere il mandato. Polizzi però sperava di riuscire ad ottenere uno sconto di pena, lo ha detto anche la sua ex moglie con cui ha avuto due figli, e la nuova compagna. Sperava, eppure si sarebbe tolto la vita perché disperato, un giallo appunto, una brutta storia su cui dovrà fare luce la squadra omicidi della squadra mobile. I primi accertamenti sul suicidio sono stati svolti dagli agenti della polizia penitenziaria che collaborano all'indagine della mobile.