di Pietro Cavallotti
Il Riformista, 29 maggio 2021
La chiamano "prevenzione" della mafia. Ci dicono che in Italia abbiamo il più efficace sistema normativo per contrastare la criminalità organizzata. Un sistema così bello che ce lo invidia tutto il mondo. Mi chiedo su quali basi poggino affermazioni così lontane dalla realtà. Da molti anni mi chiedo se sia efficienza o criminalità togliere il lavoro a un uomo assolto, confiscare l'azienda a chi non è mafioso o sciogliere un comune dove non ci sono mafiosi. Mi chiedo che cosa si "prevenga" perseguitando uomini incensurati, i loro figli e intere comunità. Ma soprattutto mi chiedo come si possa pensare di fare "antimafia" senza considerare gli effetti distruttivi che certe misure provocano sulla vita delle persone.
Qualche giorno fa ho ricevuto la chiamata di un uomo che ha l'età di mio padre. Il suo nome è Filippo Vasta. Un uomo distrutto, caduto in una profonda depressione che, da alcuni giorni, non vuole uscire di casa. Mi ha detto che non riesce a parlare con nessuno di quello che gli è successo e che ci riesce solo con me. Filippo è una persona semplice che ha sempre lavorato con umiltà e dedizione. Per un errore giudiziario è stato arrestato, si è fatto la galera da innocente, poi è stato assolto definitivamente ed è stato riconosciuto vittima di mafia. Nonostante tutto questo, a sua figlia è stata negata l'iscrizione nella "white list": in poche parole non può lavorare nel settore pubblico e, per un'impresa come quella della famiglia Vasta che opera nel settore del gas e dell'acqua, significa morte certa. Il diniego viene fatto semplicemente perché è sua figlia, cioè figlia di un uomo innocente!
Mi ha fatto gelare il sangue nelle vene quando mi ha detto che ha pensato di farla finita. Mi si è letteralmente attorcigliato il cuore nel petto. Non si dà pace, crede di essere la causa della rovina dei suoi figli e che, togliendosi la vita, potrebbe salvare le loro di vite. Non parliamo di una persona fragile. Parliamo di una persona che è sopravvissuta alla mafia e al carcere. Eppure, di fronte alla follia di un'interdittiva, è caduto nella disperazione più profonda. Ci si sente così quando gli avvocati non sono in grado di dare risposte, quando i giornali e i politici se ne fregano, quando nessuno ti capisce fino in fondo. Sei assalito da un senso di colpa pari solo all'umiliazione che devi sopportare giorno dopo giorno. Lo Stato ti toglie il lavoro e perseguita le persone a te più care. Questa non è lotta alla mafia. Questa è istigazione al suicidio! Lo Stato Caino che se la prende contro chi ha il diritto di vivere una vita dignitosa.
Recentemente sono stato contatto da altre persone che stanno attraversando lo stesso dramma di Filippo. Hanno tutti paura di subire ritorsioni. Vi rendente conto? Quando un cittadino arriva a non gridare la propria innocenza e rinuncia a difendere i propri diritti per paura dello Stato, non siamo più in democrazia. Siamo in un regime!
È a tutte queste persone che mi voglio rivolgere nella speranza che le mie parole possano essere di conforto e infondere speranza nei loro cuori. Non si può mollare. La paura di rassegnarsi, di lasciarsi morire senza lottare è più forte della paura delle ritorsioni. Il suicidio non è la soluzione! Agli uomini e alle donne cui lo Stato sta togliendo la speranza, il futuro e la voglia di vivere io dico di resistere. Vi dirò una cosa: io, da figlio, rinuncerei per sempre a fare attività d'impresa piuttosto che privarmi di un solo giorno dell'affetto di mio padre. La colpa non è vostra. La colpa è dello Stato che usa strumenti barbari per perseguitare i suoi cittadini. La migliore risposta che possiamo dare è continuare a vivere e a lottare in maniera nonviolenta e, vivendo, troveremo una soluzione. Lo stiamo già facendo. Non vi potete lasciare sopraffare, dovete reagire e reagire ancora, fino alla fine.
Non ci possiamo permettere altri Rocco Greco! Costruiremo insieme la strada per uscire da questo vortice mortale delle misure di prevenzione. Andremo fino alla Corte Europea, scenderemo in piazza se sarà necessario. Ma, per fare tutto questo, bisogna essere in forze e non lasciarsi abbattere. I padri devono lottare per i figli e non lasciarsi morire per loro. E i figli la devono smettere di nascondersi o di piangersi addosso, devono uscire le palle a stare a fianco dei padri. La battaglia per la revisione del sistema delle misure di prevenzione non è una semplice battaglia per la difesa dei diritti o del Diritto. È molto di più: è una battaglia per la salvezza della vita. Non c'è battaglia più nobile di quella per la vita. Io sono sicuro che la vinceremo con Nessuno tocchi Caino. Nel frattempo resistiamo! Nel frattempo viviamo!
di Marina Castellaneta