di Gabriella Imperatori
Corriere del Veneto, 1 giugno 2021
Non tutti sanno nei dettagli di cosa parla, ma tutti ne parlano, come spesso avviene. In sostanza il progetto di legge Zan, bloccato per ora al Senato dopo essere passato alla Camera, sostiene che è penalmente punibile chi offende, aggredisce o discrimina qualcuno a motivo del suo sesso.
Oppure a causa della sua non adesione alle modalità di comportamento convenzionalmente legate all'appartenenza di genere. Chi rifiuta l'identità sessuale assegnatagli alla nascita e dunque all'anagrafe (il transgender) è in realtà spesso vulnerabile, bisognoso di protezione, almeno finché il processo di cambiamento non è concluso ed è ancora possibile cambiare idea.
Perciò questa protezione deve contemplare un rispetto che includa il diritto a non subire discriminazioni e offese. Sembrerebbe una cosa ovvia, eppure non lo è per tutti, tanto che l'argomento continua a suscitare dibattiti feroci. Ogni popolo ha, o sembra avere, caratteri distintivi. Per cui gli vengono attribuiti qualità e difetti (a volte sedimentati nel tempo fino a diventare iperboli o caricature). Degli italiani, per fermarci alla nostra gente, si dice che sono particolarmente portati al dibattito, tuttavia per molti il dibattito è teso a dimostrare soprattutto di aver sempre ragione. Il che, come affermato da un noto intellettuale "è un obiettivo misero, infantile o fanatico".
Infatti la ragione non è qualcosa di assoluto e immutabile o un attestato di virtù che permetta di sputare, nemmeno metaforicamente, addosso agli altri. Ma è un percorso, una conquista, qualcosa che si può imparare, talvolta perfino da chi sostiene idee diverse dalle nostre.
Basta invece ascoltare un qualsiasi talk show per imbatterci in persone che s'interrompono a vicenda, gridano come aquile o addirittura insultano per far emergere, più che il proprio pensiero che non sempre c'è, le proprie passioni. È così se si parla di vaccini, di aperture e chiusure, di immigrazione. Figurarsi cosa succede se il tema di un dibattito riguarda la bioetica, com'è successo per l'aborto, come accade ancora per la pillola del giorno dopo, per l'utero in affitto, e anche per la legge Zan (derivata dal cognome del parlamentare padovano del Pd Alessandro Zan), che difende il diritto di comportarsi come ci si sente di essere e non come certifica la carta d'identità.
Per esempio per quanto riguarda il cambio di genere, o il diritto di amare chi si ama senza doverne rendere conto ai familiari, agli amici, alla società di guardoni pronta a giudicare con l'aggravante dell'odio (pensiamo a espressioni tipo "sporco frocio", "tr... di m...a" e simili), oltraggiando una persona non per ciò che bene o male fa (o non fa), ma per ciò che è o sente di essere.
A questo punto tutto può diventare lecito, anche le cose più assurde, e ogni gruppuscolo può combattere a suo modo la propria guerriglia ideologica. C'è chi sostiene il diritto a usufruire della gravidanza surrogata e chi la ritiene una forma di prostituzione i cui committenti sono spinti da egoismo o delirio di onnipotenza. C'è chi ipotizza i guasti che un cambio di genere potrebbe portare se, per esempio, il "trans" chiedesse di essere trasferito (com'è successo in America) da un carcere maschile a uno femminile, o viceversa. Chi, ancora, come alcune femministe storiche, non accetta che la marginalizzazione delle donne sia equiparata a quella di un transgender o di una coppia omosessuale. Chi vuole la castrazione certificata. Chi brucerebbe in forno un eventuale figlio gay. Chi, in sintesi, non vuole cambiare le cose perché a lui, a lei, a loro le cose van bene così. Insomma il dibattito sulla legge finisce per essere una cartina al tornasole che fa emergere soprattutto l’esigenza narcisistica di aver sempre ragione, e che siano gli altri ad avere torto.