di Damiano Aliprandi
Il Dubbio, 1 giugno 2021
La Consulta dovrà occuparsi di un altro caso di legittimità costituzionale in merito al 41-bis. Secondo la sentenza numero 20338 della Cassazione è incostituzionale sottoporre a censura delle lettere che un detenuto al 41-bis manda al proprio avvocato difensore. Anche perché, come ha ben sottolineato la Corte Suprema, se da una parte censurano le lettere inviate ai propri avvocati, dall'altra la legge permette i colloqui riservati al 41-bis con gli avvocati stessi.
Infatti, scrive la Cassazione, "se si ammette l'ipotesi che un difensore venga meno ai suoi doveri deontologici e professionali, e tradisca, così, l'alta funzione che gli è assegnata dall'ordinamento, anche in questo caso, cioè in relazione alle comunicazioni che avvengono di persona o per telefono, non può escludersi in astratto il rischio che lo stesso si presti a fungere da illecito canale di comunicazione". Per cui, "al cospetto del quale, nondimeno, il legislatore - evidentemente a ciò indotto dalla considerazione dell'inviolabilità del diritto di difesa e della natura assolutamente remota dell'ipotesi in predicato - ha scelto di dare piena tutela al diritto ad avere comunicazioni difensive riservate".
Accade che con ordinanza del 9 luglio 2020, il Tribunale di Locri ha rigettato il reclamo proposto da Giuseppe Jerinò - imputato davanti a quell'autorità giudiziaria, condannato, all'esito del giudizio di primo grado perché ritenuto esponente di vertice di un clan di ' ndrangheta e sottoposto al 41-bis - avverso il decreto con cui, il 12 maggio 2020, il Presidente del Tribunale ha disposto il trattenimento di un telegramma da lui indirizzato al difensore di fiducia, l'avvocato Giuseppe Milicia.
Ritenuto di potere integrare la motivazione, radicalmente assente, del provvedimento impugnato, il Tribunale calabrese ha stimato la sussistenza di un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica, connesso all'ambiguità del contenuto della missiva, composta da una serie di periodi non legati da un filo logico in grado di rendere coerente e comprensibile il testo nella sua interezza. Ha aggiunto che l'incongruenza del testo non è spiegabile in ragione del modesto grado di istruzione dell'autore il quale, redigendo personalmente il reclamo, si è mostrato capace di esporre i motivi con prosa chiara e lineare.
A quel punto il detenuto al 41-bis Jerinò propone, con l'assistenza dell'avvocato Milicia, ricorso per Cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale - titolare, a suo modo di vedere, del potere di integrare la motivazione del decreto emesso dall'organo monocratico, ma non anche di ovviare alla sua totale assenza - male interpretato la normativa in materia di controllo sulla corrispondenza dei detenuti, che ammette il trattenimento delle sole comunicazioni dal contenuto illecito, che celino al proprio interno qualcosa o contengano scritti pericolosi per la sicurezza e l'ordine pubblico. In sostanza, il detenuto al 41-bis, lamenta l'illegittimità della motivazione con cui il Tribunale di Locri ha confermato il provvedimento di trattenimento del telegramma.
La Cassazione ha posto delle osservazioni. Circa l'art. 18- ter che prevede, al comma 2, che "le disposizioni del comma 1 non si applicano qualora la corrispondenza epistolare o telegrafica sia indirizzata ai soggetti indicati nel comma 5 dell'articolo 103 del codice di procedura penale, all'autorità giudiziaria, alle autorità indicate nell'articolo 35 della presente legge, ai membri del Parlamento, alle Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini ed agli organismi internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell'uomo di cui l'Italia fa parte".
Mentre il 41-bis sottrae, al visto di censura la sola corrispondenza con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia. Ed è qui che, secondo la Corte Suprema, la sottoposizione al visto di censura della corrispondenza in uscita con il proprio difensore si traduce "in un vulnus non solo - e non tanto - alla libertà ed alla segretezza della corrispondenza, diritti dichiarati inviolabili dall'art. 15 Cost. e che spettano ad ogni individuo in quanto tale e, quindi, anche ai detenuti, ma anche e soprattutto del diritto alla difesa e di quello ad un equo processo, tutelati a livello costituzionale e sovranazionale". Ha anche ricordato che la Consulta, in proposito, già riconosciuto, con la sentenza n. 143 del 2013, il diritto a conferire con il proprio difensore e a farlo in maniera riservata.
La cassazione, sollevando il caso di legittimità, ha posto il principio che l'assoluta compressione del loro interesse a mantenere una corrispondenza riservata con il difensore, quand'anche ispirata all'esigenza di impedire i contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza come giustamente prevede il 41-bis, "non possa superare il vaglio di ragionevolezza e, quindi, ritenersi giustificata". Ora la parola passa alla Consulta.