di Pietro Del Re
La Repubblica, 20 giugno 2021
Il "Boia dei Balcani" è stato condannato all'ergastolo dalla Corte dell'Aia. Ma gran parte dei suoi sodali restano liberi. Alcuni siedono persino nel Parlamento serbo. La Storia si nasconde sotto a un tavolino dell'ex Caffè Istanbul, diventato nel frattempo Pub Pivo e dove il pavimento è ancora scalfito dalla granata lanciata il 4 aprile 1992 dalle "tigri di Arkan", un manipolo di ultra-nazionalisti serbi mischiati a criminali comuni e a ultrà reclutati allo stadio Marakàna di Belgrado. L'esplosione uccise diciassette notabili bosniaco-musulmani: le prime vittime di una guerra che con gli sgozzamenti di civili, l'assedio di Sarajevo, il genocidio di Srebrenica, i lager e le fosse comuni in quattro anni provocò duecentomila morti. "Adesso che Radko Mladic è stato condannato all'ergastolo in via definitiva dobbiamo smetterla di rivangare il passato", dice la giovane proprietaria del bar, Dijana Pavlovic.
"Ma il Tribunale dell'Aia è anti-serbo per definizione. Ci odia, e noi lo ricambiamo. Il fatto che i serbi siano stati condannati a 1138 anni di prigione, con ben otto ergastoli, mentre i bosniaco-musulmani, che pure hanno compiuto terribili efferatezze, soltanto a poche decine d'anni, la dice lunga sull'obiettività di quella corte".
Non la pensa così Tarik Tuco, iman della malconcia moschea di Bijeljina, cittadina bagnata dalla Drina nella Repubblica Serba di Bosnia, dove 29 anni fa le "tigri di Arkan" entrarono scortate da una divisione dell'esercito di Belgrado e in pochi giorni ammazzarono quattrocento persone. "Da anni tra i serbi è in atto un'autoassoluzione collettiva per gli orrori che hanno compiuto in Bosnia. E, come se non bastasse, adesso c'è anche chi prova a ribaltare i ruoli tra vittime e aggressori", spiega l'imam. "Gli sterminatori serbi non erano solo militari, contadini o pastori. C'erano tra loro anche ingegneri, chirurghi e docenti universitari. A guidare la pulizia etnica, anche fisicamente, fu un ceto medio illuminato. Oggi, molti di quei colletti bianchi vivono giorni sereni in Serbia, anche se sono condannati dai tribunali bosniaci".
A rilanciare la grave denuncia dell'imam è il sito della Balkan Investigative Reporting Network, ong che difende i diritti umani in Europa sud-orientale e secondo cui sono circa ottanta i criminali di guerra che hanno trovato rifugio a Belgrado, molti dei quali complici del "boia dei Balcani", condannato in appello l'8 giugno all'Aja. "I sodali di Mladic hanno scarse possibilità di essere perseguiti perché sebbene Serbia e Bosnia abbiano un accordo di cooperazione legale, Belgrado non estrada i suoi cittadini in altri Paesi, il che significa che quei crimini di guerra rimarranno per sempre impuniti". Il sito dell'ong riporta che tra gli imboscati figurano l'ex ufficiale dei servizi segreti presso il quartier generale dell'esercito serbo-bosniaco Radoslav Jankovic, il capo dell'intelligence Svetozar Kosoric e il capo della polizia in tempo di guerra Tomislav Kovac, diventato in seguito ministro degli interni a Belgrado. Accusati di genocidio, vivono tutti e tre da uomini liberi in Serbia.
C'è poi il caso di Brano Gojkovic, colluso con Mladic per l'assassinio di ottomila musulmani a Srebrenica. Dopo aver ammesso le sue colpe, Gojkovic fu condannato a soli dieci anni di carcere perché, nonostante le sentenze dei tribunali internazionali, la Serbia non riconosce quel crimine come genocidio. Balkan Insight parla anche del comandante della Brigata Birac, diventato poi capo di Stato maggiore del Drina Corps, Svetozar Andric, che la Bosnia vorrebbe processare.
Ma Andric è oggi deputato, e il suo partito fa parte della coalizione del governo serbo. Il che avvalora le conclusioni di un rapporto della Commissione europea sui progressi dell'adesione all'Ue di Belgrado, secondo il quale la mutua cooperazione legale tra Bosnia-Erzegovina e Serbia è ancora molto limitata per i casi di crimini di guerra.
A Belgrado incontriamo Vjerica Radeta, vice presidente di quel Partito radicale che ancora alimenta la mitologia del nazionalismo pan-serbo evocando l'eterna cospirazione islamica contro l'Occidente cristiano. Secondo Radeta a Srebrenica non c'è stato nessun genocidio. Mladic è dunque innocente. "Sono gli Stati Uniti e la Nato i responsabili della cruenta disintegrazione dell'ex Jugoslavia, e il Tribunale dell'Aia ha avuto il compito di distogliere l'attenzione dai veri colpevoli con le sue sentenze illegali. Leggendo i verdetti dell'Aia, si potrebbe pensare che i serbi non abbiano avuto vittime nelle ultime guerre patriottiche, il che è ovviamente falso".
La scomposta retorica degli ultranazionalisti contiene però una verità di peso. E cioè che alcuni crimini contro i civili serbi, sia pure meno numerosi di quelli contro i musulmani, sono rimasti impuniti. Ratko Mladic, il cui volto carnoso è stampato sulle t-shirt vendute dalle bancarelle di souvenir davanti all'antica fortezza di Belgrado, incarna oggi il simbolo di quell'ingiustizia. Il carnefice di Srebrenica s'è trasformato in martire ed eroe del popolo serbo.
A poche ore dalla sua condanna definitiva lo stesso presidente Aleksandar Vucic ha denunciato la "giustizia selettiva" del Tribunale dell'Aja, "nelle cui sentenze nessuno è stato dichiarato responsabile dei crimini contro i serbi". Vucic ha poi sottolineato che il suo Paese è pienamente impegnato a indagare, arrestare e punire i responsabili di crimini di guerra. È vero, Belgrado ha recentemente cominciato a processare i suoi criminali più sanguinari, ma mai di sua iniziativa, e soltanto dopo essere stata incalzata dalle autorità di Sarajevo.
Fatto sta che in Serbia, secondo Dimitar Ilic, laureando in Economia e attivista politico, ancora sopravvive una nutrita frangia di ultra-nazionalisti legati ai servizi di sicurezza e alla tifoseria violenta: "Il suo sottobosco è stato sfoltito dal governo per presentarsi più pulito agli occhi di chi dovrebbe accoglierci nell'Ue, ma lo zoccolo duro di quella categoria di canaglie permane. Il motivo dell'ultradecennale accanimento contro i serbi è uno solo: nessuno di noi ha mai chiesto il perdono per i crimini compiuti".
Ma c'è dell'altro. Basta leggere le trascrizioni degli interventi registrati nel quartier generale serbo-bosniaco tra il 1991 e il 1995, all'epoca affollato di psichiatri e scrittori. Sono state recentemente pubblicate dallo Srebrenica Memorial Center, che le chiama Genocide papers. Oltre a Mladic, all'Assemblea nazionale della Republika Srpska di Bosnia parlano il suo ex presidente Radovan Karadzic, Momcilo Krajisnik e altri ideologi e bardi della Grande Serbia. Le loro agghiaccianti parole svelano i dettagli della pianificazione e dell'attuazione di uno sterminio.