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di Daniele Mastrogiacomo


La Repubblica, 20 giugno 2021

 

Giugno 1971: l'allora presidente Nixon indicò il consumo di stupefacenti come il nemico numero uno. Da allora, in mezzo secolo, il traffico è esploso. La guerra alla droga compie 50 anni. Mezzo secolo. Era il 17 giugno 1970 quando l'allora presidente Richard Nixon convocò la stampa alla Casa Bianca e con aria grave annunciò: "Il nemico numero uno degli Stati Uniti d'America è l'abuso di droga. Da oggi lanceremo un'offensiva per spezzare i legami con i problemi creati dalle fonti di offerta". Era un messaggio chiaro. Affrontava la tragedia di migliaia di reduci dal fronte del Vietnam che tornavano a casa dipendenti dall'eroina. Giovani neanche ventenni, raccolti in ogni angolo del paese, spediti a forza nella giungla del sudest asiatico a combattere una guerra che avevano visto solo da lontano. Mesi di battaglie, scontri, imboscate, malattie. Una follia che li aveva spinti, alla fine, a farsi qualche canna di erba ma soprattutto a infilarsi nelle vene la più potente tra i brown sugar al mondo.

Il Pais dedica una ampia analisi a questo vero spartiacque che diede il via alla più lunga guerra nella storia degli Usa, poi rilanciata da Ronald Reagan ma soprattutto da sua moglie Nancy con un drammatico appello in tv. Mette a nudo le contraddizioni di una battaglia che si è concentrata soprattutto in America Latina che con i suoi confini era più minacciosa della lontana Asia.

Nulla fu come prima. Anzi. La guerra alla droga più che frenare il consumo creò le basi del traffico clandestino, sconvolse le economie dei paesi produttori, eliminò lavoro e soldi a decine di migliaia di contadini, avvitò decine di paesi in una spirale di violenza che continua adesso. Più forte di prima. "L'unica maniera reale, concreta per chiudere con l'eroina", spiegò Nixon, "è bloccare la produzione d'oppio".

Da quel momento, l'oppio iniziò a diffondersi come mai era accaduto prima. Nel 1970 i morti per overdose erano 1 ogni 100 mila abitanti. Alla fine del XX secolo il numero si era moltiplicato per sei e nel 2019 le vittime superavano le 20 ogni 100 mila. Oggi, sul mercato, ha fatto il suo ingresso il fentanyl, un concentrato molto più forte dll'eroina che sballa e uccide subito anche i più ostinati tossici. Ma è più facile da trasportare, occupa meno spazio, piace molto di più. Una trappola costruita in laboratorio e immessa sui mercati statunitensi e canadesi dalla n'drangheta, l'organizzazione criminale più potente al mondo. Due anni fa, le autorità sanitarie statunitensi lanciarono l'allarme per la strage che colpiva gli assuntori di droghe pesanti. Morivano come mosche. Si scoprì da cosa era provocata.

Fonti indipendenti convengono su un dato: l'impatto con il fentanyl giunge dopo che per mezzo secolo gli Stati Uniti hanno speso nella lotta alla droga in tutto il mondo tra 340 milioni e mille miliardi di dollari. Cosa è stato ottenuto? Poco se si pensa ai 300 milioni di assuntori che annualmente usano una droga illecita, al prezzo sul mercato che si è abbassato e alle morti per overdose che sono cresciute in modo esponenziale. Il settore degli stupefacenti ha un volume impressionante di guadagni. Nel 2009, secondo dati delle principali agenzie antinarcotici, erano di 84 miliardi. Una cifra, spiega el Pais, molto vicina al fatturato di Bill Gates. Oggi altre fonti attendibili stimano un incasso che sfiora i 350 miliardi di dollari. Eppure si sa che il 70 per cento va ai trafficanti e solo l'1,2 ai contadini che la coltivano.

Sono sempre questi a pagare il prezzo più alto del proibizionismo: tra il 1992 e il 2001 si sono persi 230 mila posti di lavoro. Sono invece cresciute le organizzazioni e i Cartelli (solo in Messico ce ne sono 37, quelli più rilevanti); paesi come Colombia e Messico si sono messi in proprio, i governi hanno versato montagne di quattrini per contrastare non tanto il traffico ma le stesse gang, con migliaia di arresti di piccoli spacciatori e consumatori, carceri sovraffollate e soprattutto decine di migliaia di vittime innocenti tra la popolazione civile.

In sette paesi dell'America Latina, tra il 1992 e il 2007, secondo il Centro Studi Droghe e Diritto, il numero di arresti è cresciuto del 100 per cento. In Messico, nel 2016, c'erano 211 mila detenuti e sei su dieci lo erano per piccoli reati legati alla droga. Ma tra il 2007 e il 2020 ci sono state solo 44 sentenze nei confronti per riciclaggio di denaro. Il Fmi stima che nel 2017 sono entrati negli Usa quasi 30 miliardi di dollari in droga. Se fossero stati frutto di transazioni legali avrebbero rappresentato l'1,3 per cento di tutte le importazioni. È la stessa somma, ricorda el Pais, che il governo italiano ha investito per affrontare la prima ondata del Covid.

Nessun paese si è salvato dall'ondata di violenza che questa guerra alla fine ha scatenato. Solo la Bolivia si è sottratta per una scelta che lo stesso presidente Evo Morales impose al paese. Decise di espellere la Dea e di controllare direttamente la produzione delle foglie di coca che lì hanno un valore ancestrale. Il risultato fu sorprendente e contrastò con la dottrina Usa della lotta alla droga. Furono chiusi i laboratori di raffinazione, si fissò la quantità di pasta base di coca da poter ricavare dalle piantagioni.

Controllo pacifico piuttosto che guerra aperta. Meno morti, meno proteste per perdite di posti di lavoro, meno terreni coltivati a foglie di coca. Perfino l'ambasciata Usa a La Paz riconobbe gli straordinari risultati: le 550 tonnellate di solfato di cocaina prodotti nel 1992, si erano ridotti a 110 nel 2017. Ma questo presuppone non tanto la legalizzazione della cocaina come lo era fino agli anni 50 del secolo scorso. Oggi non ci sono più le condizioni. Le difficoltà nel chiudere una guerra che è persa in partenza sono legate ai soldi. Quelli usati per combattere il narcotraffico e quelli incassati con il narcotraffico. Nessuno vuole rinunciare a questo tesoro.