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di Salvo Palazzolo


La Repubblica, 20 giugno 2021

 

I primi provvedimenti del presidente del tribunale per i minorenni. In Calabria ha sottratto 80

ragazzi a un destino criminale già scritto allontanandoli dai genitori. "Un'alternativa è necessaria, i clan reclutano i giovanissimi". "L'altro giorno, il figlio di un mafioso mi ha detto: 'Da questo palazzo sono passati mio padre, i miei zii e i miei fratelli. Io voglio una vita diversa, grazie per avermi portato via'". Il giudice Roberto Di Bella guarda le carte che riempiono la sua scrivania: "In ognuno di questi fascicoli - spiega - c'è la storia di un ragazzo a cui dobbiamo offrire al più presto un'alternativa. Altrimenti verrà reclutato dai clan".

Lui è il giudice che in Calabria ha sottratto a un destino criminale ottanta figli di boss della 'ndrangheta, allontanandoli dalle famiglie d'origine. Dal mese di settembre dell'anno scorso, Roberto Di Bella è il presidente del tribunale per i minorenni di Catania. E, questa volta, i provvedimenti di decadenza della responsabilità genitoriale li ha firmati nei confronti di mafiosi siciliani e trafficanti di droga vicini alle cosche. Dodici provvedimenti, due riguardano boss di primo piano di Cosa nostra catanese. È la prima volta che accade in Sicilia. "I figli vivono adesso in comunità o in altre famiglie, lontano dal contesto di origine - spiega il giudice - secondo il progetto ormai sperimentato in Calabria".

È il progetto "Liberi di scegliere", che è diventato un libro, un film, ma soprattutto un protocollo d'intesa che vede insieme i ministeri della Giustizia, dell'Interno, dell'Istruzione, la Direzione nazionale antimafia e l'associazione Libera. "L'obiettivo - dice Roberto Di Bella - è assicurare una concreta alternativa ai minorenni provenienti da famiglie inserite in contesti di criminalità organizzata e anche ai familiari che si dissociano dalle logiche criminali".

A Catania, si sono già fatte avanti alcune mamme. Proprio come era accaduto in Calabria. Al momento, sono due, che hanno avuto problemi con la giustizia per accuse di mafia e droga: "Ci hanno manifestato la loro intenzione di rompere con il passato e andare via con i loro figli dalle famiglie di origine", racconta il presidente del tribunale per i minorenni. "E sulla base di quanto previsto dal protocollo verranno sostenute, per poter iniziare una nuova vita. Determinante è il contributo di Libera".

C'è un gran via vai al primo piano di via Raimondo Franchetti 62, la palazzina della giustizia minorile di Catania. Davanti alla stanza del presidente, i finanzieri della scorta. Alcuni boss dell'ndrangheta a cui sono stati tolti i figli non l'hanno presa bene. E, adesso, un tribunale minorile colpisce anche i padrini della mafia siciliana. "Ma la nostra non è una sfida - tiene a precisare il giudice - noi ci limitiamo ad applicare gli strumenti ordinari della giustizia minorile, che impongono la decadenza della responsabilità genitoriale quando un genitore viola o trascura i propri doveri. Ad esempio, perché non manda i figli a scuola. Oppure, li indottrina sui principi e le regole della mafia, come magari emerge dalle intercettazioni. Provvedimenti per i genitori scattano anche quando i figli gravitano in ambienti legati allo spaccio e alla piccola criminalità, pure se non commettono reati". Il presidente del tribunale per i minorenni racconta di una "grande sinergia" fra i giudici, la direzione distrettuale antimafia diretta da Carmelo Zuccaro e la procura per i minorenni guidata dalla facente funzioni Valeria Josè Perri.

Tutte le notizie riguardanti i minori che emergono dalle indagini vengono subito messe in condivisione. E, poi, c'è un protocollo d'intesa promosso dalla prefettura, che ha raccolto attorno a un tavolo pure il Comune, le scuole e le forze dell'ordine. "Un fronte unitario nella consapevolezza che stiamo giocando una partita fondamentale - spiega il giudice Di Bella - le organizzazioni mafiose si stanno riorganizzando, per far fronte ad arresti e processi reclutano giovani leve dalla strada. Il 21 per cento di dispersione scolastica nelle zone difficili di questa città è un dato che deve preoccupare". Soprattutto perché tanti, troppi giovani continuano a considerare un mito il mafioso più famoso di Catania, Nitto Santapaola. "Io dico ai ragazzi: "Volete essere davvero come lui? È in carcere da 28 anni, la moglie è stata ammazzata, non può vedere i figli".

Fa una pausa il giudice e dice ancora: "Ho visto la sofferenza negli occhi dei figli di mafia e delle loro madri. Abbiamo il dovere di offrire un'alternativa". E racconta del boss dell'ndrangheta rinchiuso al 41 bis che gli ha scritto: "Per ringraziarmi dell'opportunità offerta al figlio. L'avrebbe voluta anche lui, da giovane".

Il tribunale sta sperimentando anche forme di affidamento temporaneo dei figli di mafia, nel corso della giornata. "Ad associazioni o a famiglie di appoggio - spiega il presidente - per la partecipazione ad iniziative sulla legalità o anche per l'inserimento in contesti diversi". Intanto, "Liberi di scegliere" è diventato pure un concorso per le scuole."La sensibilizzazione sui temi delle mafie non può essere lasciata a sporadiche iniziative, abbiamo bisogno di progetti organici. Per dimostrare che il futuro non è già scritto e che si può essere protagonisti della propria vita, la delinquenza non è un destino inesorabile per chi nasce in certe realtà familiari". Il presidente Di Bella lancia un appello ai ragazzi di Catania e ai loro familiari: "Le porte di questo tribunale sono sempre aperte. Possiamo aiutarvi".