di Michele Serra
La Repubblica, 20 giugno 2021
Vorrei avere scritto io, parola per parola, quanto detto da Mattia Feltri sulla Stampa a proposito della detenzione in regime di "alta sorveglianza" di Cesare Battisti, che condivide il severo trattamento con i terroristi islamisti. Non è certo la privata antipatia di quel detenuto (stratificata negli anni anche grazie alla campagna insensata di intellettuali francesi molto disinformati sull'Italia) a giustificare questa pubblica rappresaglia. Come se l'orologio si fosse fermato agli anni Settanta non solamente per alcuni reduci della sedicente lotta armata, ma anche per lo Stato italiano.
La "cerimonia" di consegna di Battisti ai ministri Salvini e Bonafede fu una delle pagine più sgradevoli, e anche più ridicole, del governo gialloverde, quello del doppio populismo e dunque forcaiolo al quadrato.
Ci si domanda, dopo che il cambio di inquilino a Palazzo Chigi è stato salutato come la rivincita dei Lumi sulle tenebre, se qualcuno vorrà prendere atto che un quasi settantenne, omicida a vent'anni, non è un pericolo pubblico né un trofeo politico da esibire infilzato su una picca. Lo Stato, vale sempre la pena ripeterlo, a differenza dei terroristi non infierisce sui suoi nemici e non cerca vendetta. Applica la giustizia, che della vendetta è l'antidoto.
L'avvocato di Battisti sostiene che la ragione giuridica consentirebbe già da tempo una normale detenzione. Se è vero, bisognerebbe che la questione, al di là delle belle parolette messe in fila dagli editorialisti, venisse presa in considerazione in qualche stanza del potere. Se non altro per dimostrare agli intellettuali della Rive Gauche che avevano torto, e l'Italia, dalla metà del secolo scorso, è uno Stato di diritto.