di Giovanni Negri
Il Sole 24 Ore, 20 giugno 2021
Dalla carcerazione preventiva agli arresti domiciliari, dall'obbligo di presentazione al divieto di avvicinamento, calano un po' tute, spesso in maniera assai significativa, le misure cautelari personali applicate nel corso del 2020. Nella Relazione al Parlamento da parte del ministero della Giustizia la diminuzione, da 94.197 a 82.199, deve essere in buona parte attribuita alla pandemia che ha rallentato l'attività degli uffici.
Le misure cautelari custodiali (carcere-arresti domiciliari-luogo cura) costituiscono il 58% circa di tutte le misure emesse, mentre quelle non custodiali (le restanti) ne costituiscono circa il 42%; una misura cautelare coercitiva su tre emesse è quella carceraria (32%), mentre una misura cautelare coercitiva su quattro è quella degli arresti domiciliari (25%); con riferimento al solo anno 2020, il 12% degli arresti domiciliari viene applicato con procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (il proverbiale "braccialetto"), mentre il restante 88% senza il suddetto controllo elettronico; l'applicazione delle misure del divieto di espatrio e della custodia cautelare in luogo di cura appare estremamente residuale nel triennio.
I 3/4 delle misure vengano emessi dalle sezioni Gip, mentre solo il restante 1/4 venga emesso delle sezioni dibattimentali. Il giudice dibattimentale utilizza le misure dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e del divieto di dimora in modo molto più frequente rispetto al Giudice per le indagini preliminari; l'inverso avviene, invece, per le misure della custodia cautelare in carcere e del divieto di avvicinamento. In particolare, per la custodia cautelare in carcere la differenza appare molto significativa: il Gip utilizza la misura carceraria con frequenza quasi doppia (34,4%) rispetto al giudice dibattimentale (18,1%).
Significativo il riferimento alle misure cautelari emesse nei procedimenti definiti nel medesimo anno, dato che consente divedere da un lato, se l'applicazione della misura è stata infine coerente con l'esito del procedimento, "che dovrebbe teoricamente terminare sempre con una condanna e non con un'assoluzione (a successiva riprova che vi erano effettivamente concreti elementi di accusa della persona preventivamente sottoposta a misura cautelare) e dall'altro, ad esempio, se il tipo di misura emessa (carcere o arresti domiciliari) sia risultata sempre compatibile con la successiva assenza della sospensione condizionale della pena nei procedimenti definiti con condanna".
E allora, limitando l'analisi alle sole 31.455 misure emesse nel 2020 nei procedimenti definiti nel medesimo anno, la modalità di definizione prevalente è la condanna non definitiva senza sospensione condizionale della pena, che raggiunge mediamente il 57,6% del totale, ossia quasi 6 misure su 10 sono state emesse in un procedimento che ha avuto poi come esito più frequente, sia pur non definitivo, la condanna senza sospensione condizionale della pena.
Sommando poi la percentuale del 57,6% a quella media del 18,2% relativa alla condanna definitiva senza sospensione condizionale della pena si raggiunge un totale complessivo del 75,8%, cioè 3 misure su 4 sono state emesse in un procedimento che ha avuto poi come esito la condanna (definitiva o non definitiva) senza sospensione condizionale della pena. Sono però poco più di 7.000 i casi che si sono poi conclusi con la sospensione condizionale della pena (tipologia che escluderebbe arresti o carcere) oppure con un verdetto di assoluzione o proscioglimento.