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di Andrea Colombo


Il Manifesto, 24 giugno 2021

 

Il premier in vista del Consiglio europeo. Per Draghi l'ottimismo è un obbligo, ed è lui stesso a ironizzare sul tema nella lunghissima replica al Senato, prima del voto sulle mozioni in vista del Consiglio europeo: "Lei vede di solito il bicchiere mezzo vuoto, io mezzo pieno anche per interesse costituito", afferma rivolto al senatore Crucioli, al quale risponde direttamente, puntigliosamente, in questa fluviale replica il cui scopo è in tutta evidenza dimostrare considerazione per un parlamento che, nei fatti, rischia invece di essere spogliato ulteriormente delle sue prerogative da un governo commissariale qual è quello di Draghi.

Ottimista e fiducioso, sì, ma sempre con i piedi ben piantati per terra. Il tema principale del Consiglio sarà l'immigrazione. L'Italia è il Paese più direttamente coinvolto e quello che ha chiesto e ottenuto la messa all'odg del tema per la prima volta dal 2018. Draghi rivendica la rapidità con cui la Ue ha risposto positivamente alla sua richiesta e ci vede un segnale positivo. La sua, giura, "non è la rivendicazione di un merito ma il marcare una sensibilità diversa, capire che certi problemi possono risolversi insieme". Ma il premier non si fa illusioni e non vuole che se ne facciano i parlamentari. Quella sensibilità diversa ancora non c'è, o almeno non in misura sufficiente: "Non aspettiamoci risultati trionfali. La trattativa è lunga. Dobbiamo essere persistenti e incisivi".

Sul nodo centrale, cioè il peso che grava essenzialmente sui "Paesi di prima accoglienza", dunque sul trattato di Dublino, la strada è in salita: "Il tema è divisivo", riconosce il premier. E le regole europee impongono l'unanimità. Certo, si potrebbe eliminare quell'obbligo che è un cappio. Peccato che "anche per cambiare la regola dell'unanimità ci voglia l'unanimità". E comunque per fare passi avanti ci vorranno mesi. In autunno ci sono le elezioni in Germania, in primavera in Francia, la faccenda in campagna elettorale pesa. Se ne comincerà a riparlare all'inizio dell'anno prossimo e per stringere anche solo un po' ci vorranno mesi.

Non è solo questione di quell'inamovibile trattato. Il Consiglio confermerà il rinnovo dell'accordo con la Turchia: 6 miliardi sborsati per fermare i flussi verso la Germania. Per i Paesi africani, primo fra tutti la Libia da cui partono i migranti che arrivano in Italia, ci vorrà più tempo e al momento anche i fondi scarseggiano: un paio di miliardi che però dovrebbero gonfiarsi di qui a ottobre. Il punto è che Erdogan è sì "un dittatore", come da sbotto di Draghi qualche mese fa, però almeno in Turchia si sa chi ha in mano il timone. In Libia e nei Paesi africani no e questo rende tutto più complicato. Ma anche qui Draghi vede il bicchiere mezzo pieno: "Non è che in Libia l'Italia non abbia carte da giocare".