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di Lucio Boldrin*


Avvenire, 24 giugno 2021

 

Poco più di un mese fa il segretario di un sindacato di Polizia penitenziaria ha detto che il 40% dei detenuti fa utilizzo di droghe o di sostanze che alterano il normale stato psichico. Non sono in possesso di dati che possano confermare o smentire la sua affermazione/denuncia, ma non sono rimasto sorpreso. Come accade "fuori", infatti, anche "dentro" lo spaccio serve, oltre che all'evidente guadagno economico, a mantenere il potere su altre persone. E in molti casi i lauti incassi servono per mantenere in piedi quel sistema di "welfare" garantito ai familiari dei detenuti appartenenti ai clan. Sempre secondo lo stesso sindacato di Polizia penitenziaria, il 35% degli ingressi in carcere è dovuto alla droga. E, con la droga che in vari modi entra nelle celle, si rovinano ancora di più le vite di migliaia di persone in tutte le carceri.

La situazione induce a pensare che serva un intervento legislativo in grado di limitare l'accesso dei tossicodipendenti agli istituti penitenziari, prevedendo per loro un percorso diverso dalla detenzione carceraria. Parliamo, insomma, delle "famose" forme alternative di espiazione della pena: se ne parla da anni, ma poco si fa. Per i tossicodipendenti occorrerebbe prevedere seri percorsi di recupero all'interno di apposite comunità, dove scontare la pena e rinascere dall'inferno delle droghe.

Dall'altra parte, tuttavia, serve rigore assoluto nel controllo e nel contrasto dell'introduzione di sostanze stupefacenti nelle carceri. Lo Stato ha il dovere di impedire ai criminali di esercitare il loro potere anche dopo gli arresti. Secondo gli ultimi riscontri, le Regioni più interessate a questo fenomeno sono la Campania, la Sicilia, il Lazio, la Puglia e la Lombardia, ma il problema ha assunto rilevanza in tutti gli istituti della penisola.

I grandi trafficanti, quelli che fanno i milioni commerciando il loro veleno dentro e fuori dalle carceri, non fanno uso di droghe. In genere vivono da nababbi, insensibili alla sofferenza e morte di tante persone a causa della droga. E quei pochi che cadono nella rete della giustizia, esercitano il loro strapotere anche nelle carceri. Sono dei Mangiafuoco che manovrano i drogati come fossero marionette, mentre questi ultimi appaiono ai miei occhi come novelli Pinocchio e Lucignolo. Che non diventeranno mai persone, se nessuno li aiuterà a tagliare i fili della droga.

Ogni giorno in carcere vedo ragazzi spegnersi nei sentimenti, nella speranza... e nella rabbia. Lo confesso: guardando negli occhi questi giovani e giovanissimi, che vedo e amo come figli, avverto tutta la mia impotenza.

*Cappellano Casa circondariale maschile "Nuovo Complesso" di Rebibbia