di Sepideh Gholian
Corriere della Sera, 29 giugno 2021
L'attivista iraniana Sepideh Gholian era stata arrestata alla protesta sindacale. Nel suo racconto dalla cella le torture, le confessioni forzate e la solidarietà. I diari di Sepideh usciranno in Italia per iniziativa del festival Vicino/lontano e delle Librerie in Comune di Udine, con il patrocinio di Amnesty International.
Ci picchiano da mezzogiorno alle 10 di sera. Temo che non resterò in vita. Dire che sono terrorizzata non basta davvero a esprimere ciò che provo. Sento qualcosa di caldo fuoriuscire dal mio corpo. Resto completamente muta, persino quando mi picchiano non riesco neppure a gemere. Sono certa che uccideranno Esmail e che questa oscurità non avrà mai fine (Esmail Bakhshi è un sindacalista della raffineria Haft Tappeh, imprigionato e torturato per il suo ruolo nella mobilitazione del 2018, ndr).
Viaggiamo su una strada che sembra in salita, dopo un po' la macchina si ferma. Dalle voci attorno a me capisco che hanno buttato a terra Esmail e lo stanno trascinando via. È morto? Sono morta, io? D'improvviso riattaccano dalla mia parte e mi colpiscono nuovamente. Scendo dalla macchina. Mi accusano: "Hai insudiciato l'auto con il tuo sangue". Poi, tirando un pezzo di cartone che mi mettono in mano mi dirigono da un'altra parte. Sono bendata e non posso vedere bene dove vado. So solo che mi guidano per un declivio fino a una stanza. Sto tremando, e imploro che mi lascino vedere una guardia donna, ma in risposta mi urlano: "Una donna, e perché? Qui dentro ci muori".
Sono circondata solo da voci maschili, e questo mi fa tremare ancora di più. Mi portano da qualche parte, ignoro dove. Mi danno un cambio di vestiti, "Va' dentro e cambiati i vestiti". È una vecchia e sporca uniforme blu scuro, così grande che sono costretta a tenere su i pantaloni con la mano. La mia perdita di sangue è molto intensa. È da stamattina che mi stanno insultando. Ho paura di chiedere degli assorbenti. Ho paura di essere insultata e picchiata di nuovo. La guardia mi spinge avanti reggendo il pezzo di cartone, che chiamano il "bastone". Il bastone mi mette paura, non so perché. Mi spingono in un angolo. "Resta qui qualche minuto finché la tua cella non è pronta. E intanto, non parlare con le altre donne nelle celle!". Mio Dio! Allora alla fine vedrò un'altra donna? Entro nella cella. Il mio corpo è coperto di lividi. Arranco faticosamente, la porta della cella si chiude alle mie spalle.
Alzo la mia benda e vedo una donna con la stessa uniforme, il velo e la benda sollevata dagli occhi. Una coperta le copre la parte inferiore del corpo. Dopo dieci ore di torture e di terrore, non appena la vedo sento come se tutto fosse passato. La abbraccio e, senza farci domande, singhiozziamo una nelle braccia dell'altra. Chiede il mio nome.
"Goli... No, Sepideh" rispondo. Piangiamo ancora.
"Hanno ucciso Esmail" dico.
Invece di chiedere chi è Esmail, mi accarezza la testa e dice: "Stanno uccidendo tutta la mia famiglia".
Le chiedo il suo nome. Risponde: "Mi chiamo Makieh... Makieh Nisi. Sono qui da ventun giorni".
Makieh capisce che mi fanno male testa e collo. Mi massaggia il collo e mi chiede: "Perché sei qui?"
"Perché ero alla protesta sindacale. Tu perché sei qui?"
"Non ti spaventi se te lo dico?"
"No, dimmelo".
"Ci accusano di essere membri dell'Isis. Non sei spaventata?"
"Perché dovrei essere spaventata? Oggi l'ho visto, l'Isis. Sono loro l'Isis, non tu". Improvvisamente un carceriere apre la porta. (...) Mi porta nella cella accanto. Prima di rinchiudermi dentro, mi dice: "Domani informerò il tuo interrogatore che quelli dell'Isis ti hanno sedotta".