di Attilio Nettuno
casertanews.it, 29 giugno 2021
Il 28enne algerino non è stato curato ma per il Gip è morto per suicidio. Si chiamava Lamine Hakimi ed è morto il 4 maggio 2020 all'interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere. Hakimi, affetto da schizofrenia, era tra i 15 detenuti posti in isolamento, dopo i pestaggi del 6 aprile, in quanto ritenuti i promotori della protesta al reparto Nilo di qualche giorno prima per la distribuzione di mascherine dopo il primo caso di Covid nell'istituto penitenziario.
Detenuto morto dopo i pestaggi - Hakimi, secondo quanto riferito dalla Procura, non era in condizioni fisiche tali da sostenere la misura afflittiva, non è stato sottoposto ad alcuna visita preventiva, non è stato curato adeguatamente. Il suo compagno di cella di quei giorni di isolamento, trascorsi al reparto Danubio, ha riferito che il 28enne algerino ha sempre dormito e che non ha ricevuto medicinali. Per gli inquirenti quella morte sarebbe conseguenza dei pestaggi (morte causata da altro reato) o comunque da una condotta omissiva da parte di chi doveva vigilare su di lui. Una contestazione che, però, non è stata condivisa dal gip che ha 'etichettato' quella morte come suicidio per l'assunzione di una dose massiccia di oppiacei.
Il giallo - Ma resta il giallo. Hakimi, come gli altri detenuti 'messi in punizione', era stato perquisito e, essendo in isolamento, aveva contatti esclusivamente con le guardie penitenziarie. Come quegli oppiacei siano entrati in quella cella non è stato chiarito dalle indagini.
Detenuti in isolamento fatti 'sparire' - Una morte che si è verificata in un contesto di abusi più ampio. I quindici detenuti in isolamento, infatti, non sono stati 'registrati', o meglio la loro regolarizzazione nelle celle di isolamento è avvenuta solo dopo: il 22 aprile ed il 4 maggio, giorno proprio della morte del 28enne algerino. Uno, addirittura, non sarebbe mai stato registrato. In questo modo avrebbero trascorso più tempo reclusi al regime 'differenziato' anche in violazione di altre norme che tale misura prevede (più di una persona in celle omologate per una sola, mancanza di biancheria per i primi giorni).
Inoltre, i verbali di regolarizzazione, secondo la ricostruzione della Procura di Santa Maria Capua Vetere, sono falsi, redatti per incolpare i 15 detenuti dei reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni, descrivendo a loro carico condotte insussistenti. Per questo agli agenti è contestato anche il reato di calunnia, oltre a quello di falso.
Il falso delle perquisizioni - Ma non solo. L'alterazione delle relazioni di servizio sembra essere una costante. False sono risultati i verbali relativi a quanto rinvenuto nelle celle l'otto di aprile. Si parlava di spranghe ed olio bollente ma nella realtà dei fatti quelle perquisizioni non ci sarebbero mai state. E' dalle chat tra gli agenti che arriva la risposta. "Con discrezione e con qualcuno fidato fai delle foto a qualche spranga di ferro", o ancora "in qualche cella in assenza di detenuti fotografa qualche pentolino sul fornellino, anche con acqua".
La Garante dei Detenuti - Sull'inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere è intervenuta anche la garante provinciale dei detenuti Emanuela Belcuore. "Finalmente c'è giustizia - ha riferito a Caserta News - Mi sono insediata come garante provinciale dei detenuti a giugno 2020 e già nei primi colloqui mi erano state rappresentate le torture. Una cosa però va detta: ci sono tanti, la stragrande maggioranza, poliziotti della penitenziaria che svolgono il proprio lavoro con onestà e dedizione. Il comportamento di queste mele marce va a discapito anche di chi fa semplicemente il proprio dovere".