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di Stella Cervasio

 

La Repubblica, 29 giugno 2021

 

Botte anche a un detenuto in sedia a rotelle. Il dialogo intercettato tra due indagati: "Sono state 4 ore di inferno per loro". "Questo è Santa Maria, il capolinea. Qui ti uccidiamo". I più aggressivi tra gli agenti penitenziari raggiunti ieri dalla misura cautelare della Procura di Santa Maria Capua Vetere, secondo il Gip che ha firmato l'ordinanza, facevano parte di quella che tutti chiamavano la "squadretta". Immortalati nei video delle telecamere interne, il 6 aprile 2020 gli agenti misero in atto quella che venne definita una "mattanza", con trasferimenti effettuati attraversando un corridoio sotto gragnuole di colpi, come in una tonnara.

Furono 292 i detenuti di 8 sezioni del reparto Nilo (a Santa Maria si chiamano come i fiumi: Danubio, Tevere ecc.) malmenati. E a sottoporli a "perquisizioni personali arbitrarie e abusi di autorità", come li denomina l'ordinanza firmata dal gip Sergio Enea, furono 283 fra commissari, ispettori, sovrintendenti e agenti di polizia penitenziaria in forza alla Casa circondariale, a cui si aggiunsero gli appartenenti al Gruppo di Supporto agli Interventi. Nelle intenzioni degli agenti doveva essere la risposta a una rivolta dei detenuti che avevano protestato il giorno prima, il 5 aprile, per un caso di Covid chiedendo le mascherine. Un intervallo, quello di 24 ore, che non giustifica l'intervento, secondo gli investigatori.

La giornata seguente la "perquisizione straordinaria generale": "Quattro ore di inferno per loro", si dice in una intercettazione telefonica tra Pasquale Colucci, comandante del Nucleo operativo traduzioni e piantonamenti del carcere di Secondigliano e comandante del Gruppo di Supporto agli Interventi - e Gaetano Manganelli, comandante della polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere. Intorno alle 20 Colucci annuncia che è stata "ristabilita la legalità a Santa Maria", e aggiunge "4 ore di inferno per loro: l'operazione ha interessato 8 sezioni del Reparto Nilo. Non si è salvato nessuno".

Prima della perquisizione sono state intercettate frasi del tipo: "Li abbattiamo come vitelli " ; "domate il bestiame". E riferimenti al "sistema Poggioreale". Non sarebbe stato risparmiato neppure un detenuto costretto sulla sedia a rotelle, preso a manganellate - si legge nell'ordinanza - e con lui uno a cui le guardie avrebbero rotto gli occhiali. Molte le violazioni anche nella procedura, in quell'inferno paragonato ai fatti della caserma di Bolzaneto del 2001: sarebbero state impiegate anche donne, che per detenuti di sesso diverso non possono presenziare o eseguire perquisizioni.

Queste ultime sarebbero avvenute anche servendosi di manganelli (peraltro vietati dalla legge, e permessi in casi eccezionali solo da una normativa risalente agli anni Trenta): "Hanno ordinato - afferma un detenuto riconoscendo nei video e nelle foto mostrate, coloro che l'avrebbero sottoposto a tortura - di mettermi un manganello nell'ano per controllare se c'era un telefonino". Un detenuto racconta di un compagno di reparto nordafricano, che per chiedere il trasferimento mise in atto una protesta e con lui c'era un connazionale: "Uno mise la branda contro la grata della cella e quando arrivò la commissaria (Anna Rita Costanzo, commissario capo responsabile del Reparto Nilo, ndr) con la sua squadra di 50 agenti, si tagliò e sputò sangue contro gli agenti, e allora uno di loro diede un calcio alla branda facendola cadere e colpendo il detenuto alla testa. A uno dei due iniettarono del Valium, all'altro si ipotizza qualcosa di più forte, perché non è più tornato lucido ".

In un'altra testimonianza: "Il detenuto che porta il vitto agli altri, e chiamiamo Maradona è stato afferrato per il collo della tuta e l'hanno colpito con schiaffi violenti in pieno viso". In una intercettazione tra due agenti si sentono i commenti sulle deposizioni dei detenuti riguardo ai fatti del 6 aprile: uno confessa "al massimo possono avermi visto tirare un pugno con le chiavi a un detenuto", e aggiunge: "Gli ho fatto un buco sulla testa ". E ancora un'affermazione che sa di presunzione di impunità: "Sarà tutta una bolla di sapone, perché hanno messo come 'tortura' quindi va a decadere". Un altro detenuto della sezione Nilo: "Una guardia mi ha dato uno schiaffo e poi mi ha consigliato di prendermi acqua e zucchero, mentre io gli chiedevo di andare in infermeria".

Il contenuto di un'altra deposizione: "La guardia dell'ufficio matricola il 6 aprile, mentre mi perquisiva, mi riempiva di pugni - dice agli inquirenti un detenuto sottoposto alla "perquisizione straordinaria" - e ridendo diceva testualmente "e bravo, sei il primo carcerato che ha detto la verità", alludendo al fatto che non avevo telefonini con me. Questo agente in seguito mi ha avvicinato cercando di giustificare gli eventi del 6 aprile con il comportamento esagerato e irrispettoso dei detenuti".

Non solo percosse, ma anche minacce e umiliazioni: "L'agente che ho riconosciuto il 6 aprile - dice un'altra testimonianza - era fuori dalla mia cella e mi ha detto che sarebbe tornato il giorno dopo per picchiarci. Il 7 aprile è venuto fuori alla cella intimandoci di farci la barba, altrimenti ce l'avrebbe fatta lui ". È di un detenuto nordafricano il racconto più dettagliato: "L'agente che temiamo di più è quello soprannominato "Penna Bianca".

L'ho conosciuto a Cassino dove sono stato dal 2017 al 2019. Si accompagna sempre con gli altri agenti della sorveglianza con cui forma una "squadretta". Terrorizza tutti, perché è lui che dà il "benvenuto" ai detenuti quando arrivano in carcere. Il 10 marzo 2020 quando sono arrivato nella stanza della Matricola, l'ho salutato e lui mi ha detto "è da Cassino che ti volevo uccidere" e poi ha ribadito "t'aggia schiattà". Ho provato a spiegare che io non avevo preso parte alla rivolta di Velletri avvenuta 2 giorni prima (250 detenuti diedero alle fiamme il carcere contro un decreto che vietava i colloqui per il Covid), ma mi hanno gridato "stai zitto".

Quindi i tre agenti mi hanno aggredito dandomi calci e pugni su tutto il corpo, mentre io cercavo di coprirmi. Ma mi hanno dato anche schiaffi sul viso. L'aggressione è durata qualche minuto e sono caduto a terra. Per la paura che mi avevano trasmesso, sapendo quello che poteva farmi Penna bianca, mi sono fatto la pipì addosso e quando gli agenti se ne sono accorti mi hanno deriso. Poi mi hanno accompagnato alla mia cella Penna Bianca, l'assistente Michele e l'assistente Vittorio e hanno iniziato ad aggredirmi colpendomi con pugni e calci sulla schiena che ho lasciato esposta per evitare di ricevere colpi in viso, i lividi hanno fatto preoccupare mia madre che doveva farmi una videochiamata. Prima di chiudere la cella, l'assistente Michele mi ha detto "Qui è Santa Maria. Questo è il capolinea. Qui ti uccidiamo".