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di Federico Minniti


Avvenire di Calabria, 1 luglio 2021

 

Giovanna Russo, è la Garante per i diritti dei detenuti. Si occupa delle "libertà" dei carcerati. In apparenza può sembrare un ossimoro, ma l'impegno ci dice altro. Dietro l'abito da avvocato, c'è un "occhio materno". Entrata in sordina, durante l'emergenza pandemica, si sta affacciando al dibattito pubblico distinguendosi per determinazione e stile. Il 12 giugno è stata tra le prime reggine ad accogliere il nuovo arcivescovo di Reggio Calabria - Bova, monsignor Fortunato Morrone, in occasione della sua visita presso il carcere di Arghillà.

 

Perché una giovane donna reggina decide di fare il Garante per i diritti dei detenuti?

Una domanda intensa che spiega il senso dell'intera intervista. Proverò in poche semplici parole a esporlo. Ho sempre trovato il senso di ciò che faccio quando il mio operato è utile a far valere i diritti altrui. Studiare Legge mi ha portato a sviluppare ulteriore sensibilità ai diritti degli ultimi ed a dar voce alle loro legittime pretese. La mia forte vocazione alla difesa dei soggetti più fragili e vulnerabili ha definito il quadro. Reggio è la città nella quale ho scelto di rimane perché sono fermamente convinta che con spirito di sacrificio, serietà, abnegazione, collaborazione su più livelli, rispetto delle competenze altrui e occhio materno si possano ottenere grandi risultati.

 

Ci può raccontare una giornata "da Garante". Quali sono le attività che ordinariamente portate avanti?

Il garante cittadino si muove tra impegni istituzionali al fine di promuovere e dare il giusto impulso al lavoro, alla formazione, alla cultura, all'assistenza, alla tutela della salute, allo sport, per quanto nelle attribuzioni e competenze del comune. Opera per migliorare le condizioni di vita e di inserimento sociale delle persone private della libertà personale e l'aspetto più delicato sono le visite nei luoghi di detenzione ed i colloqui. È lì che incontri il volto dell'uomo smarrito, delle paure che si agitano nell'animo di ciascun recluso. È lì che devi spogliare te stesso e porti sempre la domanda: e se fossi io? Il superamento cui un garante deve sempre tendere è sapere che qualunque sia il reato commesso dal detenuto, risponde a principi ben più nobili: la tutela dei loro diritti in quanto essere umani.

 

Sabato 12 giugno, ha accolto l'arcivescovo Morrone nel carcere di Arghillà. Quali sono state le sue emozioni di quel momento?

Emozionata e felice perché ho assistito all'importanza che l'arcivescovo Morrone ha prestato ai detenuti. Cella per cella, mano per mano, incrociando gli occhi ed i volti di chi spesso è troppo solo. Ci siamo abituati a scartare, non ad educare e la prima visita ricaduta sul plesso penitenziario di Arghillà segna l'avvio di un concreto apostolato. Il ministero di "speranza" nelle carceri dove mi auspico, in tal senso ho già ricevuto il conforto di alcuni sacerdoti della città, che le parrocchie accompagnino con numerose iniziative i detenuti. Non senza difficoltà certo, ma si realizzerebbe un notevole supporto alle famiglie dei detenuti accompagnandoli in questo periodo di grande prova. Dalla detenzione alla redenzione, non mi stanco mai di ripeterlo.

 

La cittadinanza come può cooperare con le Istituzioni per favorire i processi di riscatto sociale di chi vive una misura detentiva?

Reggio è una città difficile e la diffidenza iniziale del reggino spesso le fa da padrona. Io però credo che da qualche tempo sta soffiando il vento del cambiamento. C'è buona parte della cittadinanza che vuole conoscere le realtà e soprattutto essere protagonista del nuovo, di ciò che verrà. Importante in questo spazio di inversione di rotta, non mi stanco di ripeterlo, saranno le relazioni tra istituzioni ed il rispetto dei ruoli e dell'operato altrui. Si sta lavorando alla stesura di alcuni protocolli ed altre attività che vedranno Reggio protagonista di una riforma di umanizzazione dei processi sociali. Anche Roma guarda al futuro di Reggio Calabria. Ma questo è un tema di cui parleremo presto.