di Giuliano Foschini e Fabio Tonacci
La Repubblica, 1 luglio 2021
I manganelli alzati a Santa Maria Capua Vetere non sono stati i soli. Ventuno carceri si ribellarono tra l'8 e l'11 marzo 2020: tredici vittime tra i detenuti, 107 agenti feriti e nessun responsabile accertato.
Ci sono sessanta ore - dalle 13.15 dell'8 marzo del 2020, alla notte dell'11, quando tutto è finito - che rischiano di diventare il punto di non ritorno della storia delle carceri del nostro Paese. Perché i manganelli alzati a Santa Maria Capua Vetere non sono stati i soli. Anzi. In quei due giorni e mezzo ventuno carceri si ribellarono, tra dirigenti impreparati e detenuti impauriti (alle volte strumentalmente) dall'ondata pandemica che stava attraversando il Paese. Il bollettino non necessita di commenti: 13 morti, tutti carcerati. Tre a Rieti, uno a Bologna, cinque a Modena, altri quattro trasferiti da Modena e deceduti ad Alessandria, Parma, Verona e Ascoli, 107 agenti feriti, 69 detenuti ricoverati. Sono passati 15 mesi. E non una sola responsabilità è stata accertata. Sullo sfondo dell'impunità, soltanto i nomi di persone morte mentre erano sotto la custodia dello Stato.
Il racconto che fino ad oggi si è voluto accreditare è quello di detenuti che, dopo aver messo a ferro e fuoco gli istituti di pena, hanno assaltato le farmacie, facendo razzia di metadone e antidepressivi. Deceduti per overdose. Tutti: Marco Boattini (40 anni), Ante Culic (41 anni), Carlos Samir Perez Alvarez (28 anni), Haitem Kedri (29 anni), Hafedh Chouchane (37 anni), Erial Ahmadi (36 anni), Slim Agrebi (40 anni), Ali Bakili (52 anni), Lofti Ben Mesmia (40 anni), Abdellah Rouan (34 anni), Artur Iuzu (42 anni), Ghazi Hadidi (36 anni), Salvatore Cuono Piscitelli (40 anni).
Nessuno però ha ancora spiegato quel che risulta dalle autopsie: denti rotti, ferite alla testa, ecchimosi. Nessuno ha voluto dar seguito a dettagliate lettere di denuncia dei loro compagni di cella, che hanno riportato, la loro versione di quanto accaduto nelle sessanta ore. A Modena è aperta un'inchiesta per l'omicidio colposo di Salvatore "Sasà" Piscitelli, 40 anni, una vita storta che sembrava aver preso una direzione diversa proprio in prigione, dove Sasà aveva scoperto un talento: quello di attore. Sasà è uno dei 471 detenuti che ha partecipato alla rivolta del carcere di Modena. Ed è morto, "per intossicazione di metadone", nel pomeriggio del 9 marzo nel carcere di Ascoli. Secondo gli atti, Piscitelli e gli altri erano stati visitati prima di essere trasferiti. Ed erano in grado di viaggiare.
"A Modena Sasà stava malissimo - scrive un suo compagno di carcere - ed è stato anche picchiato sull'autobus. Quando siamo arrivati ad Ascoli, non riusciva a camminare". "Quando ci hanno scaricato - aggiunge un secondo detenuto, anche lui in una lettera in cui dice di temere ritorsioni - lo hanno trascinato fino alla cella. Buttato dentro come un sacco di patate... Hanno picchiato di brutto. A Modena era troppo debole. Non è riuscito a resistere a quelle botte".
E ancora: "Salvatore è arrivato ad Ascoli in evidente stato di alterazione da farmaci. Era stato brutalmente picchiato a Modena e durante il trasferimento. Non riusciva a camminare e doveva essere sostenuto", riferiscono altri cinque detenuti. "Hanno picchiato con il manganello in faccia persone in stato di alterazione dovuta all'abuso di farmaci. Noi stessi siamo stati picchiati dopo esserci consegnati agli agenti. Molti vengono presi a calci, pugni e manganellate nelle celle".
Voci. Voci simili a quelle che arrivano da Rieti, dove sono morti Boattini, Perez Alvarez e Culic. "Chi è stato male - si legge in una lettera agli atti della procura reatina, prossima alla chiusura delle indagini - non è stato subito portato all'ospedale: hanno avuto un primo soccorso e sono stati riportati a morire in una cella soli e in preda ai dolori, abbandonati come la spazzatura. Per noi che invece eravamo lì, nei giorni a seguire non è stato facile: sono entrati cella per cella, ci hanno spogliato chi più chi meno e ci hanno fatto uscire con la forza, messi divisi in delle stanze e uno alla volta passavamo per un corridoio di sbirri che ci prendevano a calci, schiaffi e manganellate; per i più sfortunati tutto ciò è durato quasi una settimana tra perquisizioni, botte, parolacce, ci dicevano 'merde, testa bassa!', 'vermi' e quando l'alzavi per dispetto venivi colpito ancora più forte".
Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha inviato ispettori a Modena per le denunce dei detenuti. Lo stesso, nelle prossime settimane, succederà altrove. Sul tavolo resta poco altro. Le dimissioni dell'allora capo dell'amministrazione penitenziaria, Francesco Basentini. Le parole dell'ex ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, quando in Parlamento disse "le rivolte in carcere sono atti criminali di minoranza, lo Stato non indietreggia". Guardando le immagini di Santa Maria Capua Vetere, leggendo le denunce dei detenuti di mezza Italia, si può dire che no, non ha indietreggiato. Ha fatto altro.