di Carlo Melzi d'Eril e Giulio Enea Vigevani
Il Sole 24 Ore, 8 luglio 2021
La commissione Luciani ha un arduo compito: restituire prestigio ai magistrati, dopo tanti scandali. La crisi della giustizia in Italia è insieme crisi di efficienza, di garanzie effettive dei diritti e di credibilità di chi la amministra. Così, la ministra Marta Cartabia ha affidato a due commissioni di studio, presiedute da Giorgio Lattanzi e Francesco Paolo Luiso, il difficile compito di elaborare proposte di riforma in materia di processo penale e civile, per superarne mali endemici e con ciò garantirne la ragionevole durata e una maggiore efficacia.
La riforma dell'ordinamento giudiziario e del Csm - A una terza commissione, presieduta da Massimo Luciani, è stata attribuita una missione altrettanto ardua: individuare misure di riforma dell'ordinamento giudiziario e del Consiglio Superiore della Magistratura che favoriscano il recupero del prestigio della magistratura, indebolito da troppi scandali. La riforma della magistratura è, invero, un grande classico della politica e del dibattito pubblico in Italia. Sinora, ogni serio tentativo in questo senso si è arenato nella contrapposizione tra chi vedeva in ogni proposta innovatrice un attentato all'autonomia dell'ordine giudiziario e chi voleva una capitolazione, una normalizzazione di una magistratura che in tanti casi si è mostrata capace di accertare fatti e responsabilità anche quando le condotte erano attribuibili a uomini del potere, politico ed economico. Con questi precedenti, ogni pronostico sull'esito dell'iter legislativo è quanto mai difficile. E certo non aiuta la scelta, anche da parte di un partito di maggioranza, di affidare al corpo elettorale tramite referendum la decisione su alcuni aspetti centrali della riforma, quali la normativa per l'elezione del Csm, la valutazione della professionalità dei magistrati nei Consigli giudiziari o il passaggio tra le funzioni giudicanti e quelle requirenti.
Il lavoro sui particolari - Tuttavia, qualche possibilità di successo potrebbe discendere dall'evidente urgenza di intervenire, almeno in alcuni ambiti che di recente non hanno certo ben funzionato. Inoltre, appare saggia l'opzione a favore non di una riforma palingenetica ma di un metodo chirurgico, che cesella sui particolari per migliorare lo stato di salute del paziente. Infine, potrebbe aiutare l'equilibrio delle soluzioni proposte, ben lontane da quello spirito di revanche, di umiliazione di un avversario finalmente indebolito, che si scorge in commenti politici ed editoriali e, sia concesso, anche in qualche dichiarazione degli organi di vertice dell'avvocatura.
Nel merito, il primo dato che emerge è la chiara scelta della commissione Luciani di mantenere la coerenza con l'impianto costituzionale, che disegna un ordine giudiziario unico, indipendente e autonomo, ma non separato e totalmente auto-referenziale, imparziale e al contempo protetto nei confronti di ogni interferenza governativa. Così, si respinge in modo netto la suggestione di ricorrere al sorteggio per la nomina dei componenti "togati" del Csm in evidente contrasto non solo con la lettera della Costituzione, che li vuole eletti, ma anche con il principio dell'autogoverno della magistratura.
Il secondo aspetto da sottolineare discende dal mandato affidato alla commissione. L'incarico era quello di proporre modifiche al disegno di legge "Bonafede" sulla riforma dell'ordinamento giudiziario, già all'esame della Camera, non di riscrivere un testo da capo. Di qui la scelta di intervenire con la legislazione ordinaria, senza proporre modifiche costituzionali se non marginali e di non occuparsi di temi pure urgenti, quali la riforma delle magistrature speciali.
In questo quadro, chi giudica questo testo inutile, gattopardesco se non addirittura "reazionario" appare quanto meno ingeneroso. Ci sono proposte innovative su temi che magari non appassionano le tifoserie ma che sono centrali nelle dinamiche del potere giudiziario, dal rafforzamento delle valutazioni di professionalità alla responsabilizzazione dei dirigenti degli uffici nel controllo dell'attività giudiziaria, dagli obblighi di trasparenza ai criteri per gli incarichi direttivi. Si pone qualche freno a quel carrierismo piuttosto diffuso che spinge a mettersi sempre alla ricerca di un nuovo e più prestigioso incarico e si limitano i magistrati "fuori ruolo", impegnati ad esempio nei ministeri. Si suggerisce - ma qui ci vuole la riforma costituzionale - che il vicepresidente del Csm sia nominato dal Presidente della Repubblica e non più dal Consiglio stesso. E poi vi sono i temi al centro del dibattito, come l'elezione del Csm e l'accesso dei magistrati alle cariche politiche.
Un sistema elettorale per il Csm - Quanto al primo, scartato il sorteggio e abbandonata, forse a malincuore, l'idea di rinnovare ogni due anni una parte del Consiglio, il centro della proposta della commissione è l'adozione di un sistema elettorale, il voto singolo trasferibile, che assegna la possibilità di indicare più candidati in ordine di preferenza. Ciò dovrebbe valorizzare il potere di scelta dell'elettore e soprattutto evitare che si ripetano quegli episodi, assai frequenti in anni recenti, ove il numero dei candidati era uguale a quello degli eletti e le correnti decidevano a tavolino chi dovesse andare a palazzo dei Marescialli.
Magistrati in politica - Quanto ai magistrati in politica, le proposte sono solo a prima vista timide. Il testo non blinda del tutto le porte tra magistratura e cariche elettive ma pone regole così disincentivanti da far ritenere che il numero, già oggi assai esiguo, di magistrati in politica finirebbe quasi con l'azzerarsi. Quale magistrato, ad esempio, si candiderà mai a un consiglio comunale, quando gli si richiede di rinunciare allo stipendio per tutto il mandato e a incarichi direttivi al rientro in servizio? Certo, si tratta di suggerimenti tutti opinabili. Ad esempio, affidare al Capo dello Stato la nomina del vicepresidente del Csm rischia di attribuire al Presidente una sorta di responsabilità politica per l'operato di questi. Sul sistema elettorale, l'ipotesi del collegio uninominale avrebbe forse valorizzato maggiormente il candidato autorevole e apprezzato nel territorio, al di là delle appartenenze. Infine, il sacrificio al diritto costituzionale dei magistrati di candidarsi e di conservare il posto di lavoro potrebbe sembrare eccessivo, anche alla luce del piccolo numero di magistrati che, con una espressione tanto brutta quanto abusata, scendono in campo.
Tuttavia, per una volta, nel leggere la proposta si comprende subito che sia stata formulata da chi conosce il terreno di gioco, per proseguire nella frusta metafora e possiamo quindi per una volta smentire il buon vecchio Vasco Rossi quando così stigmatizzava un indubbio difetto nazionale: "Dell'Italia non sopporto la mancanza di professionalità, il mito dell'improvvisazione e la generale poca serietà nel fare le cose".