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di Claudio Tito


La Repubblica, 8 luglio 2021

 

"Il buon funzionamento e la piena indipendenza del sistema giudiziario può aver un impatto positivo sugli investimenti e contribuire alla produttività e alla concorrenza". Questa frase è contenuta nell'introduzione al Rapporto annuale della Commissione europea sulla Giustizia. Certo, si tratta ancora di una bozza. Il documento definitivo verrà presentato stamattina. Ma fa capire quanto attenzione l'Unione europea stia dedicando all'efficacia dei sistemi giudiziari.

Questo studio, che si ripete da nove anni, è in sintesi una enorme "pagella" con tanto di voti che l'Europa assegna a tutti gli Stati membri nell'amministrazione dei processi civili. E, come spesso accade, i giudizi assegnati all'Italia non sono purtroppo tra i migliori. Lentezza nelle procedure, tempi mostruosi per dirimere le liti civili, numero di magistrati decisamente sotto la media dell'Unione e ritardo nella digitalizzazione.

I parametri di riferimento utilizzati per esprimere la valutazione - si legge ancora nella bozza - sono tre: "Efficienza, qualità e indipendenza". E soprattutto sul primo punto, il nostro Paese è tra i fanalini di coda. Prova finale della necessità delle riforme e del vincolo reclamato dall'Ue rispetto ai finanziamenti del Recovery Fund. "Il Covid - si osserva infatti - ha creato nuove sfide e ha messo in luce l'importanza di accelerare le riforme".

La maggior parte delle statistiche, in realtà, fa riferimento al 2019. E allora, tanto per cominciare, si evince che il numero di cause civili, commerciali e amministrative intentate negli ultimi otto anni è rimasto stabile. Circa quattro milioni l'anno. Quasi nella media continentale. I problemi, giganteschi, nascono sui tempi di evasione delle liti. Basta allora prendere i giorni che si impiegano per ottenere la sentenza di primo grado. E subito si passa nella classifica dei "cattivi": siamo al quintultimo posto con 13 mesi di attesa. Ma se si depura il dato dal contenzioso amministrativo, ecco precipitiamo ancora più a fondo: penultimi con oltre 500 giorni di processo per ascoltare la prima sentenza.

Se poi si prende il dato relativo alla decisione definitiva, quella in terzo grado, allora l'Italia finisce davvero dietro la lavagna. Siamo i peggiori di tutti: oltre 1300 giorni ad aspettare. Quasi quattro anni. Tanto per capire: il Paese al penultimo posto è Malta ed impiega la metà del tempo. Anche per le cause amministrative: quasi 900 giorni solo per il primo appello.

Va un po' meglio per quanto riguarda gli arretrati. Ogni anno il sistema riesce a smaltirne una piccola percentuale anche se da questo punto di vista il 2012 - l'anno di pubblicazione del primo "Scoreboard" sulla giustizia europea - era stato più efficace del 2019. I tribunali amministrativi, però, hanno una performance migliore: quasi il 25 per cento degli arretrati è stato licenziato.

Di nuovo fanalino di coda per le cause civili e commerciali pendenti. Quasi 4 ogni cento abitanti. Una montagna alta tre milioni.

Ultimi in graduatoria anche in un settore processuale specifico, quello relativo alla violazione della proprietà intellettuale: almeno 800 giorni solo per affrontare il primo grado di giudizio. Oltre 400, invece, per le cause a tutela dei consumatori. Dato tra i più sensibili nell'Unione.

Un capitolo a parte riguarda le procedure che disciplinano uno specifico reato penale: il riciclaggio di denaro. Fenomeno che incide in maniera particolare sul corretto ed equo funzionamento dell'economia. L'Italia, in questo caso, non raggiunge i record delle cause civili, si piazza verso la metà classifica: ma servono comunque con 600 giorni di udienze per concludere il primo grado.

Sostanzialmente nella media europea la spesa pubblica per la giustizia. Poco più dello 0,3 per cento del Pil. Eppure non è nella media il numero di magistrati. Una dozzina ogni 100 mila abitanti. Un paragone: la Germania ne ha il doppio. E al contrario sono tantissimi gli avvocati: quasi 400 sempre ogni 100 mila abitanti. Non benissimo neppure nella parità di genere nei ruoli apicali: solo il 37 per cento dei componenti le Supreme corti è donna. Ultimo aspetto: il nostro Paese segnala un ritardo anche nell'uso della tecnologia digitale nei processi. Quasi nella media nelle cause civili e commerciali, al di sotto per i processi penali. Quasi inesistenti nei Tar.

Soprattutto negli ultimi due anni, in questo caso la ricerca contempla anche il 2020 e il 2021, emerge poi un sensibile problema reputazionale per i magistrati. Solo un terzo degli italiani li considera indipendenti. Il 40 per cento di cittadini ritiene che siano sottoposti alle pressioni e alle interferenze dei politici o dei gruppi economici. Giudizio severo anche delle aziende. Meno del 30 per cento considera le toghe del tutto indipendenti. Un quadro, insomma, che indurrà i vertici di Bruxelles a seguire con ancora più attenzione gli impegni del governo sulle riforme della Giustizia e l'applicazione del Recovery Fund.

 

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