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di Giuseppe Salvaggiulo


La Stampa, 8 luglio 2021

 

L'ex ministro: "In gran parte le modifiche contengono cose che provammo a fare 23 anni fa io e Giorgio Lattanzi. All'epoca io guidavo il ministero e lui era direttore generale, ma purtroppo allora fallimmo per indifferenza politica e ostilità delle toghe". "Se i superlativi in Italia non fossero abusati, direi che l'impianto della riforma penale mi pare molto positivo - dice Giovanni Maria Flick, docente e avvocato penalista, ex ministro della Giustizia e presidente emerito della Corte costituzionale -. L'unico rammarico è che in gran parte contiene cose che provammo a fare 23 anni fa - io ministro e Giorgio Lattanzi all'epoca direttore generale del ministero, lui che oggi ha contribuito a scriverla come collaboratore di Marta Cartabia. Allora fallimmo per indifferenza politica e ostilità della magistratura, speriamo che ora ce la facciano".

 

È ottimista?

"Demoralizzato e ragionevolmente perplesso dallo spettacolo, a volte sconcertante, in cui si muovono gli attori: politica, magistratura, avvocatura, mass media. Ma non dispero, anche perché mi pare che la ministra si stia muovendo molto bene sul piano della diplomazia".

 

Quali sono i punti che motivano il suo giudizio positivo?

"Mi piace molto, fra l'altro, il rafforzamento del ruolo del giudice nel controllo del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari. Il rapporto tra queste due figure resta irrisolto: si pensi a quanto accaduto nell'inchiesta sul disastro della funivia del Mottarone. Evidentemente non si è ancora capito che è il giudice, e non il pubblico ministero, a emettere i provvedimenti sulla libertà personale".

 

La convince il tentativo di aumentare il filtro processuale nell'udienza preliminare?

"Finalmente si capovolge il criterio di valutazione del materiale raccolto nelle indagini: non si rinvia a giudizio per cercare le prove, ma solo quando di per sé sarebbero sufficienti per una condanna, se confermate in dibattimento".

 

Funzionerà?

"Solo se i magistrati non lo vanificheranno, perpetuando una tendenza perversa a considerare indagine e dibattimento un tutt'uno, senza soluzione di continuità".

 

I magistrati possono vanificare la riforma?

"Mi pare evidente, senza bisogno di citare Giolitti, per cui le leggi s'interpretano per gli amici e si applicano per i nemici. Ogni principio è interpretabile, dunque nessuna legge, nemmeno la migliore avrà efficacia senza un profondo cambiamento culturale. Della politica, dell'avvocatura, ma soprattutto della magistratura".

 

Quale?

"Bisogna uscire dalla stagione del panpenalismo, la dottrina per cui tutte le emergenze sociali vanno soddisfatte con nuovi reati, e del pancarcerismo, per cui il tema della sanzione penale si risolve nel carcere. E liberarsi dalla concezione della giustizia come missione".

 

In che senso?

"Ma non ci si rende conto che i due frutti che dovrebbe generare l'albero della giustizia, la ragionevole durata del processo e la ragionevole prevedibilità dell'esito, sono rinsecchiti? Che il terzo frutto, la pena e la sua esecuzione, è marcito come ci siamo finalmente accorti a Santa Maria Capua vetere (e non solo lì)? Non si può continuare a stiracchiare i principi per arrivare a esprimere posizioni di potere. In uno slogan: più umiltà e meno autoreferenzialità".

 

Della riforma della prescrizione che cosa pensa?

"Mi rifiuto di entrare in un ginepraio di tecnicismi elaborati solo per nascondere o attenuare contrasti politici di fondo. La politica usa la prescrizione come strumento di lotta. Ostenta un'infastidita indifferenza ai problemi della giustizia, salvo quando può strumentalizzarla a fini di parte".

 

La riforma del Csm è indietro perché più difficile?

"A parità di metodo, a differenza della commissione Lattanzi, da quella sull'ordinamento non è venuto fuori granché. Resto convinto che l'apertura dei consigli giudiziari agli avvocati sia sacrosanta, purché abbiano diritto di voto, e che gli illeciti disciplinari dei magistrati non debbano essere valutati da altri magistrati, ma da un'alta corte esterna al Csm".

 

È realistico l'obiettivo di ridurre i tempi dei processi del 25%?

"Vent'anni fa, quando provammo ad abbattere l'arretrato, verificammo che in pochi mesi si ricreava come prima. Quindi se non si cambia cultura incidendo prima di tutto sugli spigoli autoreferenziali, tutto è inutile".

 

È una delle condizioni per accedere ai fondi europei.

"Giusta esigenza, ma non vorrei che si dimenticasse che la giustizia non è solo questo. Pensiamo molto all'economia, meno all'umanità. Restituire i soldi europei sarebbe doloroso, ma possibile. Ma come si restituisce la dignità ai detenuti di Santa Maria Capua Vetere?".