di Giovanni Bianconi
Corriere della Sera, 8 luglio 2021
La ministra della Giustizia e la proposta di riforma della giustizia penale oggi al Consiglio dei ministri. Mediare e trovare sintesi che mettano tutti d'accordo significa trattare fino all'ultimo momento disponibile, ed evitare - per quanto possibile - occasioni di rottura. O ridurle al minimo indispensabile. Anche per questo (oltre che per il contemporaneo appuntamento con i sindacati della polizia penitenziaria, che non poteva far slittare in un momento tanto delicato) Marta Cartabia ha rinunciato senza problemi alla riunione della cosiddetta "cabina di regia" sulla riforma della giustizia convocata per ieri. Meglio affrontare un solo passaggio a rischio, il consiglio dei ministri previsto per oggi, e arrivarci con una soluzione più affinata possibile.
Si tratta infatti di uno dei tornanti più complicati nel cammino del governo, affrontando la materia più scivolosa per la maggioranza che sostiene Draghi, tanto larga quanto divisa sulle modifiche al processo penale necessarie per ottenere il via libera dell'Europa al finanziamento del Piano di ripresa e resilienza. E in quest'ottica, anche un rinvio di poche ore può tornare utile ad aggiustare un codicillo, rifinire una norma o cancellare una parola che potrebbe urtare la suscettibilità di un partito o dell'altro.
Del resto la ministra della Giustizia poteva presentare direttamente gli emendamenti al testo già in discussione alla Camera senza l'avallo formale dell'esecutivo riunito intorno al premier, ma Cartabia e Draghi hanno deciso di inserire questa tappa intermedia per impegnare il governo nel suo insieme, e quindi i partiti che lo appoggiano. Sperando così di evitare le insidie e i tranelli parlamentari che metterebbero in forse la tenuta della maggioranza e - soprattutto - i miliardi del Recovery plan.
Il principale nodo da sciogliere resta quello della prescrizione cancellata dopo la sentenza di primo grado. Non tanto per il peso effettivo che quella norma chiamata "riforma Bonafede", introdotta al tempo del governo Conte 1, ha attualmente sul sistema giustizia, quanto perché è diventata una bandiera grillina che il Movimento non ha intenzione di veder ammainare. Come invece vogliono fare tutti gli altri partiti della coalizione: dal Pd alla Lega passando per Leu, Italia viva, Azione e Forza Italia. Ancora ieri i tecnici del ministero della Giustizia erano al lavoro per limare gli ultimi dettagli della proposta di emendamento che Cartabia porterà nella riunione di oggi e che - salvo modifiche o ulteriori aggiustamenti dell'ultim'ora - prevederà questo: resta lo stop alla prescrizione dopo il verdetto di primo grado per tutti gli imputati, senza distinzione tra assolti e condannati; ma se nei gradi successivi verrà superato il tempo limite di due anni per l'appello e un anno per la Cassazione (con eventuale proroga rispettivamente di un anno e di sei mesi per i reati più gravi e per procedimenti particolarmente complessi), allora verrà dichiarata l'improcedibilità. Che è cosa diversa dalla prescrizione che estingue il reato; qui il reato resta ma si blocca il processo, sia pure in maniera definitiva.
Con questa soluzione, illustrata da Cartabia a tutti i rappresentanti dei partiti incontrati fino all'altro ieri, i Cinque stelle potranno rivendicare la permanenza del principio dello stop definitivo dopo la prima sentenza che accerta fatti e responsabilità, mentre tutti gli altri potranno dire di aver debellato il virus del processo potenzialmente infinito introdotto proprio con la riforma Bonafede. Ancora ieri, c'era chi dubitava che i grillini possano accontentarsi della soluzione Cartabia. Il capodelegazione nel governo, Stefano Patuanelli, il 20 giugno aveva detto in un'intervista al Corriere che sulla prescrizione "l'intesa raggiunta nel precedente governo (diversa da quella suggerita ora da Cartabia, ndr) è l'unico punto di caduta possibile". Che dirà oggi davanti a Draghi?
Difficile immaginare uno strappo che sarebbe complicato ricucire. Anche perché la mediazione ministeriale sulla riforma complessiva comprende altri due punti che recepiscono almeno in parte critiche e allarmi arrivati da quella stessa parte politica, e potrebbero ammorbidire resistenze e malumori a cinque stelle: è stata abbandonata l'ipotesi dell'inappellabilità delle sentenze di primo grado da parte dei pubblici ministeri, e viene a cadere l'indicazione, da parte del Parlamento, dei "criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale e nella trattazione dei processi". Su questo secondo fronte, la riforma dovrebbe codificare attraverso una legge quanto già avviene con le circolari stilate nelle Procure, laddove le priorità rispetto alla mole dei procedimenti da trattare vengono definite dagli stessi titolari dell'azione penale secondo indicazioni che devono essere approvate dal Consigli superiore della magistratura.