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di Viviana Lanza

 

Il Riformista, 8 luglio 2021

 

"La risposta non può e non deve essere solo il carcere. Bisogna cominciare a dirle queste cose, anche a gridarle". Per Don Mimmo Battaglia è il momento di puntare sulla giustizia riparativa. "Ho avuto la figlia di Aldo Moro e la Faranda, è stato un momento molto bello e molto importante e spero che su queste tematiche si possa riflettere sempre di più", aggiunge l'arcivescovo di Napoli partecipando all'incontro, presso il Centro della diocesi di pastorale carceraria, con i volontari delle carceri di Poggioreale e Secondigliano e del centro di accoglienza per detenuti Liberi di volare.

"Dopo quello che si è verificato a Santa Maria Capua Vetere - commenta - non si può pensare che ormai il fatto è successo per poi riparlarne quando si verificherà un altro fatto simile. Bisogna tenere sempre la luce accesa su questi temi ed è importante non parlare più di pene alternative ma cominciare a parlare di alternative alle pene". "È possibile", afferma don Mimmo sottolineando il valore del volontariato e l'importanza di percorsi di recupero e di responsabilizzazione che non passino necessariamente per il carcere: comunità, case famiglia, strutture, progetti. "Aiutano - sottolinea Battaglia - a cogliere il senso del riscatto di una persona che ha sbagliato e vuole darsi un'altra possibilità". Il tema centrale è quello della giustizia riparativa che sarà anche al centro dei futuri progetti della diocesi di Napoli, annuncia l'arcivescovo Mimmo Battaglia.

Anche don Franco Esposito, cappellano del carcere di Poggioreale e direttore della pastorale carceraria della Curia di Napoli, parla di giustizia riparativa anticipando un progetto a cui si lavorerà a breve: "Prepareremo un documento. Stiamo pensando di realizzare un centro di giustizia ripartiva nella nostra diocesi. Più che come alternativa al carcere, la giustizia ripartiva deve essere vista come un nuovo modo di vivere la giustizia, una giustizia dove vittima e colpevole hanno la possibilità di incontrarsi e il danno può essere guarito da questo incontro". Quindi, un riferimento all'inferno che si vive in molte carceri: "Chi esce dal carcere lo fa peggio di come è entrato -sostiene don Franco - Si entra colpevoli di un reato commesso e si esce vittime di un reato subito". Quando alle notizie sui pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, il sacerdote sottolinea che "parlare di mele marce è l'alibi della cassetta: se una mela diventa marcia non è perché è nata marcia ma perché è stata posta in una cassetta (istituzione carcere) che è marcia. Il dramma non è quello che accade nel carcere, il problema è il carcere. Fino a quando si continuerà a pensare che il carcere sia l'unica risposta, da parte dello Stato, alla delinquenza e alla giusta domanda di sicurezza della società, io non mi meraviglio che accadono cose che non dovrebbero mai accadere".

L'inchiesta sui fatti di Santa Maria, intanto, prosegue. Ieri nel carcere casertano sono arrivati gli ispettori del Ministero della Giustizia con un preciso obiettivo: verificare i malfunzionamenti della catena di comando del 6 aprile 2020, giorno di quella che il gip ha definito "orribile mattanza". Nel frattempo, il sindacato di polizia penitenziaria se la prende con il garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello, dalla cui denuncia sono partite le indagini sui pestaggi, e ne chiede la revoca e la sostituzione al governatore Vincenzo De Luca. Il sindacato critica Ciambriello per i toni "allarmistici" della conferenza stampa dell'altro giorno: "Le affermazioni del garante, per il quale ci sarebbero "immagini più raccapriccianti", sono di una gravità assoluta e alimentano il clima d'odio nei confronti della polizia penitenziaria", si legge in una nota del segretario generale Aldo Di Giacomo diffusa poche ore prima che Repubblica diffondesse altri video dei pestaggi. Secca la replica di Ciambriello: "Sono amareggiato per le dichiarazioni rese da chi punta soltanto a ottenere qualche iscritto in più al sindacato. Ho detto la verità e attendo scuse pubbliche da Di Giacomo".

L'Osapp ha invece invitato gli agenti penitenziari ad astenersi dalla funzione della mensa ordinaria di servizio in segno di solidarietà nei confronti dei colleghi del penitenziario di Santa Maria. "Basta mortificazioni", dicono chiedendo che il corpo sia equiparato a quello della polizia di Stato e delle altre forze dell'ordine, presidi di sicurezza per contrastare le aggressioni, protocolli operativi per fronteggiare le criticità in carcere, dotazione di bodycam e una formazione adeguata.