di Nichi Vendola
huffingtonpost.it, 16 settembre 2021
Eutanasia legale, cannabis e giustizia: siamo liberisti, ma non libertari, talvolta neppure liberali. La politica, questo strano animale. Proprio quando pensi che sia ormai finita in gabbia - esibita come un vecchio felino nel bioparco di partiti estinti o proiettata come un triste ologramma sugli schermi del circo mediatico - eccola che invece, d'improvviso, torna a ruggire in libertà, vitale, spiazzante, persino minacciosa. Come quella leggendaria pantera che divenne, sul finire degli anni Ottanta, l'icona della ribellione studentesca.
Oggi risuona forte il ruggito del referendum. Che è una forma, parziale quanto si vuole, di politica che chiede ai politici, che chiede a se stessa, di riacciuffare la vita, di separarsi dalle alchimie e dai funambolismi del Palazzo, di disconnettersi dal rumore di fondo del talk show permanente, di aprire porte e finestre e di accogliere il vento, i suoni, gli odori, i dolori della vita vera. Questa grande onda referendaria, facilitata certamente dall'opportunità di firmare per via digitale tramite lo spid, è una domanda prepotente di politica, un mettersi in gioco di tanti che si sentono espropriati dal vaniloquio di una classe dirigente che non dirige più nulla e che ha votato il proprio commissariamento tecnocratico. Quest'onda è una possibile e preziosa occasione di modernità. Uso questa parola con parsimonia e diffidenza, perché spesso suona falsa e manipolatrice. Dico modernità nel senso di una progressiva liberazione dagli idoli e dai tabù di ciò che resta dello Stato etico, liberazione dai residui di confessionalismo, dalle pulsioni al controllo e al disciplinamento istituzionale della vita privata.
Legalizzare l'eutanasia è sancire la pienezza di un diritto individuale. La vita mi appartiene, ne rivendico la dignità dal primo vagito all'ultimo respiro. E dunque mi appartiene la dignità del morire. Quelli che pensano che la loro vita appartenga a Dio, al Dio che gli viene rappresentato dal loro catechismo, vivano secondo le loro credenze. Ma perché devono imporre agli altri, che hanno altri catechismi o altro Dio o nessun Dio, il loro stile di vita e di morte? La libertà individuale è un bene indisponibile: questo dice il referendum sull'eutanasia. Lo Stato deve garantire il massimo di assistenza a chi è malato, deve consentire un accompagnamento solidale e scientificamente attrezzato a chi si avvicina al punto terminale del proprio viaggio terreno. Ma poi non può imporre null'altro, conta solo il rispetto della libertà di ciascuno.
Anche il referendum sulla cannabis ha a che fare con quella sorta di moralismo di Stato che ha rappresentato una strategia fallimentare e criminogena di lotta alla droga. E la fine dell'era dell'ipocrisia di Stato (che è un corollario fatale dello Stato etico) rende sempre più insopportabile la criminalizzazione di un fenomeno sociale, quale l'uso dei cannabinoidi, che ha solo l'effetto di sospingere la massa immensa di consumatori nei territori pericolosi dello spaccio clandestino. Il proibizionismo è stato ed è benzina nel motore delle mafie, le ha arricchite offrendo loro il monopolio del mercato degli stupefacenti, e si è accontentato di riempire le carceri di piccoli spacciatori e persino di consumatori occasionali.
E a proposito delle carceri, delle pene e della giustizia, come non sentire l'urgenza di una stagione di riforme radicali? Il successo del referendum sulla giustizia, al netto del giudizio sui singoli quesiti, indica quanto sia profonda la crisi del nostro sistema giudiziario e quanto grave sia oggi il divorzio tra sentimento della giustizia e amministrazione della giustizia. La guerra civile o incivile tra toghe, i fenomeni corruttivi nella magistratura, i protettorati politici sulle procure, la lentezza indecente dei processi, le storture di un pan-penalismo che gonfia i codici e le galere.
Anche qui, su queste sabbie mobili, danza, come un corpo vivo e spesso dolente, la libertà individuale e con essa la dignità della persona. Abbiamo conosciuto tante cose stravaganti nel mondo nostro, persino una declinazione della libertà tutta riferita al movimento delle merci e del denaro e non agli esseri umani. Siamo riusciti a essere liberisti ma non libertari, talvolta neppure liberali. Liberare la libertà dalle superstizioni e dall'ipocrisia è sempre una cosa buona e giusta.