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di Paola Rossi


Il Sole 24 Ore, 16 settembre 2021

 

La colpa dell'istante di non averli promossi precedentemente rileva solo se lo Stato membro ha previsto l'eccezione nel recepimento. La Corte Ue boccia il diniego alla ripresentazione di una domanda di protezione internazionale perché non originata da fatti nuovi rispetto all'epoca in cui era stata presentata la prima istanza respinta. E precisa che è illegittimo l'eventuale termine di decadenza apposto alla reiterazione della richiesta.

Al contrario può essere previsto come requisito per il rinnovo della domanda che l'istante non versi in colpa per non aver proposto subito i motivi su cui si fondava la prima istanza. Ma questo solo se all'atto del recepimento della direttiva in materia lo Stato abbia opzionato per la previsione di tale limitazione. Con la sua sentenza sulla causa C-18/20, la Cgue ha bocciato come illegittimo il diniego amministrativo opposto a un cittadino iracheno che aveva già presentato domanda di protezione internazionale per il rischio di ritorsioni nel suo Paese d'origine per non aver collaborato con le forze sciite.

Di fatto, però, aveva taciuto il vero (o l'ulteriore) motivo di timore di rientro in patria dovuto alla sua omosessualità. Come già detto la colpa di non aver presentato tutti i motivi esistenti all'atto della prima richiesta non rileva se non esplicitamente prevista dalla legislazione nazionale dello Stato membro ove si trova il richiedente. Nel caso concreto aveva affermato l'istante di non essere sicuro che non avrebbe subito conseguenze nel Paese Ue cui chiedeva protezione se avesse rivelato la propria omosessualità. Di sicuro non poteva vedersi perimetrato il proprio diritto a riproporre la domanda per superamento di un dato termine temporale.