di Patrizia Maciocchi
Il Sole 24 Ore, 16 settembre 2021
Dopo il Dl Sicurezza del 2020 pesa il pregiudizio ai rapporti familiari. L'espulsione come sanzione alternativa alla detenzione, va esclusa se pregiudica un rapporto familiare a prescindere dalla convivenza. Ad allargare le ipotesi che consentono allo straniero condannato e detenuto in esecuzione della pena di evitare l'espulsione è il decreto Immigrazione e Sicurezza del 2020. Il Dl 130/2020 ha, infatti, indicato come ulteriore causa di ostacolo all'espulsione la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare.
La Cassazione (sentenza 34134) segue questa via e accoglie d il ricorso di un immigrato al quale era stato negato il permesso di restare in Italia, in assenza della prova di convivenza con la figlia. Prima del Dl 130, il ricorso a questo atipico strumento teso a scongiurare il sovraffollamento carcerario, era precluso - secondo l'orientamento giurisprudenziale più rigoroso - solo in caso di convivenza con parenti entro il secondo grado o con il coniuge di nazionalità italiana, al quale, dopo la legge Cirinnà, è stato equiparato il convivente more uxorio.
Mentre l'indirizzo più favorevole allo straniero chiedeva al giudice di valutare la pericolosità sociale - in rapporto alla situazione familiare - oltre al radicamento sul territorio. Un diverso approccio ora superato dal Dl 130, che impone al giudice un sforzo istruttorio supplementare per verificare natura ed effettività dei vincoli familiari, inserimento sociale in Italia, durata del soggiorno ed esistenza di legami familiari culturali o sociali con il paese d'origine. Nel caso specifico va valutato l'impatto che l'espulsione del ricorrente può avere sul rapporto con la figlia a prescindere dalla convivenza.