sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Alberto Cisterna


Il Riformista, 16 settembre 2021

 

Qualcuno paventa che l'abrogazione referendaria possa lasciare mano libera a stalker e ladri, a corrotti e bancarottieri. È un'obiezione che ha un certo fondamento ma che può essere superata con opportuni accorgimenti: la cella dev'essere extrema ratio.

La navigazione dei referendum sulla giustizia è resa certo più spedita dal cataclisma che ha intaccato le fondamenta del Sistema. Senza la crisi che, da due anni e passa ormai, ha attanagliato la credibilità della magistratura italiana, nessuna stagione referendaria sarebbe stata all'orizzonte e di tutto si sarebbe parlato, tranne che di metter mano a questioni fondamentali come i protocolli di rappresentanza del Csm o la separazione delle carriere o la responsabilità civile delle toghe.

Questioni complesse. Nodi che richiederebbero misurazioni fini e prognosi abbastanza precise sulle conseguenze derivanti dal voto abrogativo per ciascun quesito e sulla reale capacità di creare in effetti assetti nuovi, ma tutti sappiamo che la spada referendaria è destinata a decapitare senza star troppo a discutere. Man mano che la raccolta delle firme vede l'orizzonte di un probabile, anzi scontato, successo, si dovrebbe recuperare uno degli enunciati iniziali dei promotori dei referendum che, trovandosi dentro l'attuale maggioranza parlamentare, avevano assicurato di voler adoperare lo strumento con lo scopo di sollecitare il Parlamento a iniziative più incisive su temi lontani dal Pnrr e dalle riforme della ministra Cartabia.

Tutti sanno che una modifica legislativa sostanziale di una delle norme da sottoporre a consultazione popolare bloccherebbe il referendum sul punto. In questi giorni, per una coincidenza probabilmente fortuita, è all'esame del Parlamento lo schema governativo del decreto che deve recepire la direttiva comunitaria 2016/343 sul rafforzamento della presunzione di innocenza. Al momento il provvedimento non contiene disposizioni che interferiscano con i quesiti referendari. Eppure, almeno per uno di essi, tra l'altro per uno tra i più controversi, il decreto offrirebbe uno spazio di intervento nel corso dei lavori di approvazione.

Ritenendo che vi sia la necessità di limitare gli "abusi della custodia cautelare" e di contenere l'alta percentuale di detenuti in attesa di una sentenza definitiva (il 31%), i promotori invocano l'abrogazione dell'articolo 274 Cpp nella parte in cui prevede che le misure coercitive possano essere disposte in presenza del pericolo che l'indagato commetta ulteriori gravi delitti della stessa specie di quelli per cui si procede. Su questo quesito si è aperta una dura polemica che, in verità, ha registrato interventi autorevoli (tra questi senz'altro quello di Fabio Roja, giudice a Milano), ma anche prese di posizione strumentali e allarmistiche da parte dei soliti poco informati o dei manettari di turno.

Non è questa la sede per impelagarsi nella didascalica esposizione dei profili di diritto che il quesito mette in esergo, tuttavia - visto che un voto popolare si profila come possibile - qualche cosa bisognerà pur dirla Il codice vigente consente di applicare la custodia cautelare in presenza di uno di questi presupposti: il pericolo di inquinamento probatorio, il pericolo di fuga e il pericolo di reiterazione del reato.

I primi due casi non presentano nessun particolare problema, né hanno dato mai luogo a polemiche di sorta; sono cose che si vedono abbastanza di rado nelle aule di giustizia. Comunque si tratta di ipotesi previste a qualunque latitudine e nessun ordinamento civile ne è privo. Rispetto al terzo caso, ossia il pericolo di reiterazione, questi due casi hanno tuttavia una particolarità: non contengono alcun apprezzamento sulla persona dell'indagato; non esprimono alcun giudizio di riprovevolezza morale o sociale sulla persona da sottoporre a coercizione, guardano gelidamente alcuni fatti come il cancellare le prove o farsi beccare in aeroporto.

In teoria nulla esclude che un innocente possa alterare le prove (procurandosi un alibi falso) o possa fuggire (il mitico Harrison Ford de "Il fuggitivo"); se lo fa ne assume le conseguenze. Niente da dire. Mentre quando si tratta del pericolo di recidiva del reato si scivola inevitabilmente dai fatti certi verso una sorta di apprezzamento morale - criminologico più che criminale - della persona indagata. È innegabile che si pennellino espressioni, valutazioni, giudizi che portano a dipingere il volto di un reprobo, di un delinquente incallito, di uno che se non venisse ammanettato subito sarebbe li pronto a commettere nuove nefandezze; si fabbrica il colpevole in altre parole.

Sia chiaro, capita. C'è in giro gente di questo tipo e bisogna tener conto al pericolo, soprattutto per proteggere le vittime. Tuttavia si deve dire con altrettanta onestà che tutto questo delicato bagaglio criminologico, personologico, psicologico o psichiatrico è nelle mani, troppe volte, di personale di polizia e giudiziario che si muove secondo precomprensioni, pregiudizi, stereotipi, generalizzazioni e che non possiede alcuna specifica competenza al riguardo.

Non hanno mai visto prima l'indagato, e spesso non lo vedranno mai (i pm quasi sempre ne incrociano lo sguardo solo in dibattimento se non sono finiti altrove). È il delitto che si contesta, che si ipotizza commesso, l'alambicco che ispira valutazioni e distilla giudizi che, ripresi dai media, riportati sulle pagine dei giornali, enfatizzati dai reportage televisivi, costruiscono la cornice entro cui si stampa l'effige del perfetto colpevole.

Ecco, allora, che mettere mano alla nonna oggetto del quesito referendario, smorzarne l'attuale spinta "colpevolista" che ha mosso i promotori a volerne l'abrogazione, attenuarne la vocazione moraleggiante sono elementi importanti per rafforzare appropriatamente e in modo efficace la presunzione di innocenza, come voluto dall'Unione europea. Qualcuno paventa che l'abrogazione referendaria possa lasciare mano libera a stalker e ladri, a corrotti e bancarottieri. È un'obiezione che ha un certo fondamento se si considerano le manette la misura ordinaria con cui fronteggiare la ritenuta propensione dell'indagato alla serialità.

Ma in un sistema che collochi la carcerazione solo all'ultimo stadio di un intervento repressivo e voglia rispettare la presunzione di innocenza (mettendola al riparo da giudizi capestro sulla persona indagata), è chiaro che questi rischi possono essere evitati con altri accorgimenti e senza impegnare un lessico apocalittico e sanguinolento.

Il paradosso è che tanto più si pongono, come è stato fatto negli anni e a fin di bene, paletti normativi e tanto più si alza l'asticella per applicare le misure severe, tanto più il vocabolario di polizia e processuale deraglia verso scorciatoie colpevoliste e minacciose che prefigurano sconvolgenti serialità.

Tenere insieme il pericolo di reiterazione dei reati e la presunzione di innocenza è un esercizio complesso e delicato, da sottrarre forse alla ghigliottina referendaria, ma che il legislatore dovrebbe affrontare, proprio oggi e con coraggio, intervenendo con una minuta tipizzazione dei casi in cui la custodia cautelare può essere applicata perché c'è pericolo di altre illegalità. Si tratta di evitare che gli atti di polizia e le ordinanze coercitive abbiano la necessità di marchiare a fuoco la colpevolezza dell'indagato per superare gli scogli dell'articolo 274 Cpp e il referendum questo lo ha ben chiaro.