sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Lucio Caracciolo


La Repubblica, 26 ottobre 2021

 

La Polonia resterà nell'Unione Europea. Ma per riaffermarvi la propria sovranità. Ed ergervisi campione degli Stati membri che escludono il principio della progressiva integrazione continentale. Pattuglia già influente, con tendenza a rafforzarsi. Al netto delle cannonate verbali del premier Mateusz Morawiecki - secondo cui la Commissione europea vorrebbe scatenare "la terza guerra mondiale" per costringerlo a rispettare la superiorità del diritto comunitario su quello nazionale - questo è il senso profondo della partita fra Varsavia e Bruxelles. Il leader polacco ricorre a tanta iperbole contro la minaccia di sanzioni ventilata da Ursula von der Leyen dopo la sentenza del tribunale costituzionale di Varsavia che ha stabilito come alcune disposizioni fissate in sede europea per preservare essenziali princìpi dello Stato di diritto siano incompatibili con la Carta nazionale. Sicché Bruxelles potrebbe vincolare il versamento dei 36 miliardi di euro previsti dal piano di emergenza anti-Covid e di altri consistenti fondi annuali alla disponibilità di Varsavia ad adeguarsi al canone comunitario. In gioco è il senso stesso dell'Unione Europea come sigillato dall'europeismo classico.

L'allargamento dell'Ue ai Paesi dell'ex impero sovietico si svela bomba a orologeria installata nel cuore della macchina comunitaria. Destinata a incepparla. Come immaginare che Stati appena tornati alla sovranità nazionale s'industrino a ricederla serenamente a un'entità sovranazionale concepita e diretta dai suoi soci fondatori, Germania e Francia in testa? I quali, com'è naturale, l'utilizzano per proteggere i propri interessi, vestendoli dei colori europei. Sempre rifiutando di esplicitarne l'obiettivo finale, in modo che non emerga la divergenza che li oppone al riguardo. In questa divaricazione strategica risiedono i deficit di democrazia che affliggono legittimità ed efficacia dell'Unione Europea. Risultato: l'obiettivo finale è di non averlo.

Il caso polacco è rivelatore. Una volta emancipata dalla morsa di Mosca, Varsavia si è autocertificata geopoliticamente occidentale. In due tappe: adesione alla Nato prima (1999) e all'Ue poi (2004). Tempistica non casuale. La Polonia è entità storicamente reversibile, compressa fra Germania e Russia. Dunque insicura. Ha quindi bisogno della protezione americana. Washington ne è consapevole e approva. Tanto da farne la punta di lancia dello schieramento atlantico in funzione anti-russa.

Allontanandola dalla "Vecchia Europa" neogollista o sottilmente neutralista. Ma Varsavia necessita dei finanziamenti assicurati dai fondi di coesione Ue per completare la ristrutturazione dell'economia. Operazione finora gestita con notevole successo, dimostrando che i soldi europei, se spesi bene, funzionano eccome. Paradosso vuole che noi italiani, non proprio esemplari nell'impiego dei fondi comunitari, siamo stati fra i primi a spiegarne le virtù e svelarne i meccanismi ai polacchi.

Quasi nove polacchi su dieci, "sovranisti" compresi, non vogliono lasciare l'Unione Europea. Non per amore ma per denaro. E siccome nessuno può né vuole davvero cacciarli, ci resteranno. A modo loro. Certo la Polonia sconta, come altri Paesi dell'ex universo comunista, lunghi decenni di esperienza autoritaria. Sommiamo a questa eredità l'insicurezza geopolitica, il declinante fascino del modello democratico occidentale, le pulsioni autarchiche e securitarie scatenate dal virus, ed ecco illustrata la rinnovata vocazione "sovranista" a Varsavia. Come nell'ex blocco dell'Est, e non solo. Prepariamoci a vivere pericolosamente il futuro prossimo. Con i diversi soggetti europei arroccati sul proprio interesse immediato. E raggruppati in variabili allineamenti disegnati da tale percepito interesse. Così è anche se non ci pare.