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di Gennaro Grimolizzi


Il Dubbio, 26 ottobre 2021

 

Dal 26 al 28 ottobre prossimi il Tecnopolo di Roma ospiterà il "Salone della Giustizia". Avvocati, docenti universitari, ministri, giornalisti, manager e leader politici si confronteranno sul futuro della giustizia italiana. Punto di partenza le riforme del processo civile e del processo penale avviate da qualche mese e verso le quali si nutrono grandi aspettative. Da queste dipendono pure le risorse del Recovery fund. "Bisogna far capire alle persone - dice al Dubbio Francesco Arcieri, giornalista e presidente del Salone della Giustizia - che con una serie di interventi mirati la giustizia italiana potrà finalmente avere tempi certi e rapidi tali da garantire la tutela dei diritti e lo sviluppo. In questo contesto la figura dell'avvocato svolge un ruolo importante, dato che ha ancora una percezione molto positiva tra i cittadini".

 

Presidente Arcieri, come nasce il "Salone della Giustizia"?

L'idea nasce nel giugno del 2008, quando ero portavoce dell'allora presidente della Commissione Giustizia al Senato. Il progetto prevedeva un innovativo e originale incontro pubblico tra magistratura, avvocatura, politica e professioni per affrontare il tema della giustizia a trecentosessanta gradi. Noi non ci occupiamo solo ed esclusivamente della giustizia amministrata nei tribunali, ma approfondiamo le tematiche legate all'economia, alla salute, al lavoro, alla sicurezza e all'ambiente. Vogliamo illustrare ai cittadini le istanze, le problematiche e le soluzioni di un settore che è sempre percepito oscuro e di difficile comprensione. Sin dal primo momento, sono stati coinvolti i vertici dell'avvocatura, della magistratura, le più alte cariche dello Stato e i ministri di riferimento, che per noi sono quelli della Giustizia, dell'Interno e della Difesa. Nelle ultime edizioni abbiamo voluto pure affrontare temi internazionali, legati alla giustizia, con la partecipazione di diversi ambasciatori. Il nostro primo obiettivo, da sempre, è promuovere la cultura della legalità e la giustizia sociale. Nel 2009, quando venne organizzata la prima edizione, a Rimini, chi comprese subito il senso della manifestazione fu Giorgio Napolitano. L'allora Presidente della Repubblica, nel suo messaggio inviato in occasione

dell'apertura dei lavori, definì il Salone "una nuova forma di comunicazione istituzionale".

 

Quanto è difficile comunicare i temi legati alla giustizia?

Il nome scelto, quando è stata fondata l'iniziativa, è evocativo. Parliamo, infatti, di Salone della Giustizia. Il salone è una rappresentazione di un settore nei confronti del pubblico e dei cittadini. Il linguaggio utilizzato da noi è sempre stato attento al cittadino. Non è mai stato un linguaggio tecnico. Poniamo delle domande a esperti e le risposte che chiediamo devono essere comprensibili da parte di tutti. Il nostro non è summit tecnico o giuridico. L'importanza del Salone è relativa al fatto che non si occupa esclusivamente della giustizia amministrata nei tribunali. Al centro dell'evento troviamo il concetto di giustizia non il comparto. Grande attenzione, proprio per questo motivo, viene attribuita al linguaggio. Vogliamo far conoscere il mondo della giustizia in maniera semplice e diretta. Ce lo insegnano i social, che chiedono chiarezza e sintesi. Gli avvocati, che hanno nell'eloquio la loro forza e alcuni di essi sono definiti non a caso "Principi del Foro", è utile che tengano conto di questi elementi".

 

Nel particolare momento che stiamo vivendo parlare di giustizia, in una iniziativa come il Salone, assume ancora più rilevanza?

È praticamente determinante. Aspettiamo da tantissimi anni la riforma della giustizia. Quello che in passato era un dovere, mi riferisco al fare una riforma, oggi diventa un obbligo. È il momento di prenderci le nostre responsabilità. La giustizia è un pilastro della nostra democrazia e la riforma che la riguarda è un obiettivo legato all'attuazione del Recovery fund. Entro il prossimo dicembre bisogna portare a compimento le riforme pianificate. La giustizia è strettamente correlata all'economia di un Paese. Non si difendono solo i diritti dei cittadini. Una giustizia lenta e non adeguata non attira gli investimenti. Dobbiamo credere ad una giustizia rapida. La lentezza della nostra giustizia ha creato un alibi tipicamente italiano. Per qualsiasi questione, piccola o grande che sia, quando c'è un contrasto tra le parti, una delle due è indotta a dire "fammi causa". Quest'alibi deve scomparire, perché blocca non solo le grandi aziende, ma può bloccare anche un condominio. Bisogna far capire alle persone che la giustizia, con una serie di interventi mirati, deve avere tempi certi e rapidi. In questo contesto la figura dell'avvocato deve migliorare la propria reputazione, dato che ha ancora una percezione molto positiva tra i cittadini.

 

Gli avvocati hanno un ruolo di primo piano nella giurisdizione. Che collocazione avranno nel Salone della Giustizia?

Hanno sempre avuto una collocazione primaria e sono presenti numerosi. A partire dal primo giorno, quando in occasione della prima tavola rotonda, dedicata a lavoro, investimenti e giustizia civile, parteciperanno Gabriella Palmieri Sandulli, avvocato Generale dello Stato, Carlo Malinconico, ordinario di Diritto dell'Unione europea nell'Università Tor Vergata e Romano Vaccarella, ordinario di Diritto processuale presso l'Università La Sapienza di Roma. Sarà presente, inoltre, la presidente del Consiglio nazionale forense, Maria Masi. In ogni convegno il sistema giustizia verrà esplicato da opinion leader dell'avvocatura. A questi si aggiungono importanti esponenti politici che saranno impegnati nei nostri "face to face", moderati da direttori di testate giornalistiche. Parteciperanno Enrico Letta, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Carlo Calenda. La giustizia deve essere terreno di discussione costruttiva nella politica, perché non è né di destra né di sinistra.