di Francesco Machina Grifeo
Il Sole 24 Ore, 26 ottobre 2021
La Corte di cassazione, sentenza n. 38031 depositata oggi, ha così definitivamente respinto il ricorso di un uomo ristretto nel carcere di Tolmezzo in regime penitenziario differenziato.
No alla telefonata del difensore al detenuto in 41bis dal proprio studio professionale. Il professionista dovrà recarsi nel carcere più vicino e da lì comporre il numero telefonico. La Corte di cassazione, sentenza n. 38031 depositata oggi, ha così definitivamente respinto il ricorso di un uomo ristretto nel carcere di Tolmezzo in regime penitenziario differenziato, motivando la procedura con la necessità di indentificare con certezza il difensore, senza correre il rischio di sostituzioni di persona.
Secondo la I Sezione penale, dunque, la prescrizione (art. 16.3 della circolare dipartimentale di organizzazione del circuito detentivo speciale) - secondo cui il difensore, che intenda ricevere la telefonata dal proprio assistito, assoggettato al regime ex art. 41-bis, comma 2, Ord. pen., si debba recare in un istituto penitenziario prossimo al domicilio, o al luogo ove esercita l'attività forense - appare ragionevole, in quanto risponde all'esigenza di garantire l'esatta identità dell'interlocutore, scongiurando il rischio, anche riconducibile all'intervento di terzi, di sostituzione di persona o di deviazione di chiamata.
"Il maggiore disagio, all'osservanza della prescrizione connesso - argomenta la decisione -, è compensato dalla salvaguardia così assicurata ai valori fondamentali della sicurezza pubblica e della prevenzione dei reati, in una ottica di equilibrato contemperamento". "Resta fermo - aggiunge la Corte - che la prescrizione in discussione, nella sua concreta operatività, non deve tradursi in una negazione surrettizia del diritto al colloquio con il difensore, che si avrebbe ove esso fosse esageratamente dilazionato nel tempo, o in altro modo ostacolato". Un simile comportamento, tuttavia, "potrebbe essere sempre denunciato all'Autorità giudiziaria per gli interventi del caso".
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 143 del 2013, ricorda la Cassazione, aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. b), ultimo periodo, Ord. pen., nella parte poneva limitazioni, di frequenza e durata, al diritto dei detenuti ad intrattenere colloqui con il loro difensore. La pronunzia aveva dunque ritenuto illegittimo il regime di "limitazione automatica dei colloqui, ma non le limitazioni che dovessero essere individualmente imposte in ragione di particolari esigenze, e tanto meno ogni forma di regolamentazione dei colloqui medesimi, che risulti armonica con le caratteristiche del regime detentivo speciale e con le finalità preventive che, anche dopo le modifiche apportate dalla legge n. 94 del 2009, ad esso sono assegnate dall'ordinamento". Per la Suprema corte, dunque, "nel rispetto delle esigenze funzionali del regime detentivo speciale, ed entro la cornice delineata dalla normativa di rango primario, le modalità di esercizio del diritto di colloquio con il difensore possono essere disciplinate anche da fonte secondaria, di carattere regolamentare".