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di Davide Galliani*

 

Ristretti Orizzonti, 19 dicembre 2019

 

1. Dopo la pubblicazione del libro "Il diritto alla speranza. L'ergastolo nel diritto penale costituzionale", scritto con Emilio Dolcini, Elvio Fassone, Paulo Pinto de Albuquerque, Andrea Pugiotto e Mauro Palma, molte persone mi hanno chiesto: "di preciso, cosa è la speranza?". Provo, da parte mia, a sviluppare qualche riflessione.

2. È speranza che, quando è nata l'Europa, quasi tutti gli Stati fondatori avevano la pena di morte, mentre oggi più nessuno. E siamo passati da 6 a 28 nella piccola Europa e da 10 a 47 nella grande Europa.

3. È speranza che, se è vero che pochi Stati al mondo hanno abrogato l'ergastolo (35 su 216, il 15%), è però vero che, tra gli Stati mantenitori, il 70% prevede la possibilità della liberazione condizionale (135 su 183). Dopo differenti periodi di detenzione, con la competenza in capo a diversi organi, ma esiste la possibilità di ritornare un giorno in libertà, mai automaticamente, ma se sulla bilancia la rieducazione pesa più della pericolosità. Parliamo di persone: su quasi 300.000 ergastolani al mondo, in 230.000 (il 78%) hanno oggi la possibilità, almeno in teoria, di ottenere la liberazione condizionale (e dei rimanenti 70.000, ben 50.000 sono tutti negli Stati Uniti d'America).

4. E la casa della speranza è il continente europeo. Gli Stati della Convenzione europea dei diritti umani sono 47. Tra questi, in 11 presentavano l'ergastolo senza speranza: uno, il Regno Unito, si è salvato, per ora; tre non sono ancora stati giudicati: Malta, Svezia, Slovacchia; i sette rimanenti, tutti, sono stati condannati: l'ergastolo senza speranza è inumano e degradante: Turchia, Bulgaria, Paesi Bassi, Ungheria, Lituania, Ucraina e Italia

5. L'Italia, dunque. È speranza che l'attività investigativa si deve arrestare fuori dalle porte di un carcere, dentro il quale si rieduca e non si fa "una sorta di scambio" tra la propria libertà e la detenzione altrui (sono parole della Consulta, sent. n. 253 del 2019, § 8.1 cons. dir.). È sicuramente speranza cancellare il regime ostativo riferito ai permessi premio, non solo rispetto alla partecipazione e all'agevolazione mafiosa, ma anche in riferimento al diluvio di reati nel tempo inseriti nel I comma dell'art. 4 bis ord. pen. E cosa è, se non speranza, affermare che esiste per tutti i detenuti la libertà di non collaborare, sorella del diritto al silenzio? Infine, è speranza che la pena abbia solo due scopi, entrambi comunque di prevenzione speciale, negativa e positiva.

6. La speranza, pertanto, non è vincere questa o la prossima battaglia. Il suo cuore è convincere. La vera liberazione non è tanto vincere una sfida, ma combatterla, con le armi della ragione. Fai quel che devi, accada quel che può: questo è speranza. E quindi. Cerchiamo ora di convincere i magistrati che il "pericolo di ripristino" dei collegamenti con la criminalità organizzata non può diventare un onnivoro contenitore, una sorta di "imprevedibile trita-speranza", non fosse altro per il fatto che il giudice è obbligato a dare conto, quindi a motivare, cosa che non può fare se, ad es., vi sono informazioni secretate. Cerchiamo, ancora, di tornare presto alla Consulta, portando questa volta la liberazione condizionale. E non sottovalutiamo nemmeno che i terzi intervenienti sono stati tutti dichiarati inammissibili, ma le acque alla Consulta si sono mosse.

7. Ho praticamente finito. Anzi, in realtà, non si finisce mai. I dubbi di costituzionalità sono ovunque. La perdita automatica della potestà genitoriale per tutti i condannati alla pena dell'ergastolo. L'automatica libertà vigilata di cinque anni per tutti gli ergastolani ottenuta la liberazione condizionale. L'automatica imposizione dell'isolamento diurno, nel caso di condanna per due o più delitti puniti ciascuno con la pena dell'ergastolo. Se si vuole, ce ne sono moltissimi altri. La riduzione fissa di pena di un giorno per ogni dieci di trattamento inumano e degradante, così come gli otto euro fissi in caso di impossibilità di riduzione di pena.

8. Dove vi è un automatismo, dove vi è fissità, lì si nega la speranza, baluardo della individualità. Ma soprattutto è il modo di stare al mondo, mai rassegnati, pieni di dubbi. Come i palombari, in equilibrio instabile costante. E la speranza la merita, nonostante tutto, anche il legislatore, il vero sconfitto alla Consulta, anche rispetto alla sciagurata estensione del regime ostativo ai minori (sent. n. 263 del 2019). Un minore al carcere duro è la negazione della speranza, oltre che un favore alla mafia. Legislatore che, in ogni caso, la sentenza n. 253 della Consulta prende in giro: il regime ostativo per reati mono-soggettivi? Un legislatore che proprio non sa né quello che fa (appunto, il peculato al pari della mafia) né quello che dovrebbe fare (i nuovi permessi al magistrato o al tribunale?). Imbarazzante, incosciente, superficiale, fa della ignoranza il suo punto di vista: sono finiti gli aggettivi, ma qui sta il bello della speranza, non la si può negare a nessuno...nemmeno al legislatore. Riconoscerti la speranza, però, non significa essere fessi: rielezioni automatiche non esistono, esattamente come le liberazioni condizionali.

9. E sarà la speranza la bandiera che sventolerà alla marcia contro l'ergastolo, minoritaria ma persuasiva. In cognizione, una pena fissa, per definizione non ragionevole e non proporzionale. Una pena che, in fase di esecuzione, non regge: fino a quando nelle carceri italiane la pena non contraria al senso di umanità non sarà la realtà, va rigettata la tesi di chi sostiene che "prima o poi" si può uscire. La si dica ai detenuti del carcere di Taranto: dovrebbero essere 300, sono 600, per loro ho letto che non ci sono i letti, si dorme a terra. La rieducazione è morta, viva la rieducazione!

10. Cosa è allora la speranza? Forse altro non è che la concretizzazione della dottrina più radicale e rivoluzionaria mai concepita, quella cristiana, che impone di trattare il prossimo come tratteresti te stesso: ripercorrendo criticamente la propria esistenza egli potrà diventare costruttore di città. Da non credente, non posso fare a meno di crederci. E credo veramente che buttare via le chiavi per far marcire le persone in galera non serva proprio a nessuno, meno che mai alle vittime e ai loro parenti, che meritano molto e molto di più. Per prima cosa, di essere considerati al pari di singoli individui, non massa informe da usare e strumentalizzare alla bisogna.

*Professore all'Università degli Studi di Milano, Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali. Dipartimento di Studi Internazionali, Giuridici e Storico-Politici