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di Patrizia Maciocchi


Il Sole 24 Ore, 21 aprile 2020

 

Corte di cassazione - Sezione V - Sentenza 20 aprile 2020 n. 12455. Il giudice non può condannare il prestanome, amministratore di diritto della società, in presenza del ruolo preponderante svolto dall'amministratore di fatto della fallita, senza provare il dolo che caratterizza il reato.

La Corte di cassazione, con la sentenza 12455 accoglie, sul punto, il ricorso "dell'uomo di paglia" contro la condanna che era scattata malgrado l'assenza di prove relative all'elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta delle scritture contabili.

Una fattispecie per la quale è richiesto il dolo specifico, di recare pregiudizio ai creditori. Il reato in questione, ricorda la Suprema corte, è infatti autonomo e alternativo, rispetto alla fraudolenta tenuta delle scritture, ipotesi per la quale è richiesto invece il dolo generico e si presuppone un accertamento condotto sui libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari. I giudici di legittimità accolgono dunque il ricorso e annullano, per quanto riguarda la specifica doglianza, con rinvio alla Corte d'Appello.

La Corte territoriale aveva, infatti, sbagliato a valorizzare solo il ruolo da prestanome, censurando l'imputato per non aver impedito le condotte dell'amministratore di fatto, vero gestore della società fallita. Circostanza che, aveva evidenziato la difesa poteva in caso integrare il solo profilo della colpa.