di Annalisa Cuzzocrea
La Repubblica, 8 maggio 2020
Le critiche nell'esecutivo: "Ha gestito tutta l'emergenza da casa". Dal centrodestra una mozione di sfiducia che tenta anche Renzi. L'allarme di Conte e del Quirinale. Alfonso Bonafede sa, lo ha capito, che indietro non si torna. Non si possono rimandare i mafiosi in carcere per decreto, checché ne dica la propaganda del Movimento 5 Stelle.
Non si può neanche decidere, per decreto, cosa devono fare e quando i giudici di sorveglianza, di appello, di corte d'Assise. Il ministro della Giustizia al question time ha tentato ancora una volta di difendersi: "Invito tutti a fare un'operazione di verità: le scarcerazioni sono avvenute in virtù di leggi non di questo governo, ma che erano lì da anni e che nessuno aveva mai modificato".
E ancora: "Nel decreto "Cura Italia" nessuna legge porta alla scarcerazione dei mafiosi, che sono invece esclusi dai benefici". Tutto vero, ma quello che viene imputato al Guardasigilli dall'opposizione e dall'interno della sua stessa maggioranza è di non essere stato in grado di capire quello che stava succedendo. Di gestire il fenomeno.
Di prevedere le conseguenze della circolare con cui il Dipartimento di polizia penitenziaria invitava i direttori delle carceri - a causa dell'emergenza Covid - a verificare lo stato di salute e di particolare fragilità di tutti i detenuti. Senza indicare in alcun modo delle soluzioni alternative ai domiciliari per i più pericolosi. C'è un'aria avvelenata e impaurita, nella maggioranza di governo. Il Movimento 5 stelle fa quadrato attorno a Bonafede, parte la batteria di sostegno e il consueto post sul blog con cui viene definito un ministro "scomodo per i poteri forti".
Ma all'interno dello stesso esecutivo c'è chi denuncia: "Per tutta l'emergenza ha lavorato quasi sempre da casa, da Firenze, non si dirige così un posto delicato come via Arenula". Di più: il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra fa sapere di aver chiesto a lungo al Dap l'elenco dettagliato di tutte le persone scarcerate a causa dell'emergenza sanitaria, senza avere risposte in tempi congrui.
Di qui, un duello sulla convocazione di Bonafede in Antimafia, che tarda a essere fissata. Il tweet del senatore M5S ieri è sembrato quasi un atto di accusa nei confronti del governo per la gestione dell'intera vicenda: "Cosa nostra, come tutte le mafie - scrive Morra, che di Bonafede non è mai stato amico - non verrà sradicata e dissolta fino a quando ci sarà un solo mafioso che trova in un esponente del potere democratico la disponibilità alla conservazione dell'esistente, al compromesso sugli ideali, al ripudio dei valori costituzionali".
Un attacco a salve, senza un destinatario preciso, ma che mina ancora di più la maggioranza nel momento in cui proprio a Palazzo Madama, la prossima settimana, si dovrà votare la mozione di sfiducia contro il Guardasigilli presentata da un centrodestra a sorpresa compatto. E con la minaccia di Italia Viva ancora in sospeso: quel testo è fatto apposta perché Matteo Renzi e i suoi possano votarlo in nome delle battaglie garantiste fatte.
Così, dopo il question time, Bonafede si è chiuso al ministero a lavorare. Da lì, si è collegato in videoconferenza con il reggente M5S Vito Crimi e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio: ha spiegato quanto sia delicata e difficile la stesura del decreto. Con una consapevolezza: va fatto subito. Prima che la situazione degeneri ulteriormente, prima che escano altri boss. Segnando un danno d'immagine enorme per il governo guidato da Giuseppe Conte.
E infatti, subito dopo, il ministro della Giustizia ha sentito il presidente del Consiglio. Che ha capito di dover seguire la vicenda da vicino anche perché gli è giunta eco della preoccupazione del Quirinale per l'impatto delle scarcerazioni sull'opinione pubblica. Il capo dello Stato sorveglia l'intera operazione e dai suoi uffici filtra la richiesta di un testo che valuti bene il problema della retroattività: lo scoglio su cui si sono infrante le intenzioni iniziali di Bonafede, che non può fare un provvedimento in contrasto con l'autonomia della magistratura e ha dovuto ridimensionare il testo che aveva immaginato. Il Pd, in tutto questo, non intende infierire.
La pedina Bonafede non può saltare senza che vada tutto in aria. Ma un dirigente dem ricorda come il guaio, prima ancora del Dap, sia stato il non voler affrontare davvero e per tempo il problema del sovraffollamento delle carceri. Lasciando che poi, davanti all'emergenza sanitaria e ai disordini, a prevalere fossero panico e confusione.