di Luigi Manconi
La Repubblica, 16 ottobre 2020
Nella prigione campana avrebbero agito circa 300 agenti in una spedizione punitiva puntualmente programmata e realizzata. Tutto il contrario di una reazione occasionale. Emerge, piuttosto, un disegno che non può non aver coinvolto i livelli superiori dell'amministrazione.
La scena ha una sua cupa classicità e richiama gesti ritmi sequenze di una procedura di sopraffazione che si ripete uguale nel tempo: uomini dal volto coperto si dispongono su due file, così da formare un corridoio lungo il quale sono obbligati a passare altri uomini inermi, sottoposti a ogni genere di percosse a mani nude, con i manganelli e con armi improprie. Molti vengono denudati, fatti inginocchiare, forzati a posizioni umilianti.
Ma il catalogo delle torture è vasto: prigionieri costretti a percorrere sulle ginocchia lunghi tratti, sevizie e sadismo. Tutto ciò nel carcere "Francesco Uccella" di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020. Vari esposti presentati da familiari, dal Garante regionale dei detenuti e dall'Associazione Antigone, denunciano i fatti; e così, 1'11 giugno, vengono effettuate perquisizioni a carico di 57 poliziotti penitenziari.
Nel frattempo, i media locali e, in particolare, Luigi Romano sul sito di Napoli Monitor, ricostruiscono la vicenda, le sue premesse (il panico tra i detenuti per il virus) e le sue conseguenze (la protesta e la repressione). Poi, nei giorni scorsi, un'inchiesta di Nello Trocchia sul quotidiano Domani. Ribadito che la presunzione di innocenza vale, eccome, per gli appartenenti alle forze di polizia, quanto finora appreso è davvero inquietante.
Tanto più se si considera che in appena 18 mesi sono emersi episodi di violenze a danno di reclusi, oltre che a S. M. Capua Vetere, negli istituti di San Gimignano, Monza, Torino, Palermo, Milano Opera, Melfi, Pavia e Viterbo; e almeno nei primi quattro l'ipotesi di reato è la tortura. Insomma, che cosa sta succedendo nelle carceri italiane?
Una sequenza di vicende efferate, che sembrano tracciare una mappa e diagnosticare un'ordinaria patologia della violenza istituzionale. Basti ricordare gli abusi nel carcere di Monza e quanto hanno rivelato le indagini della Procura di Torino nei confronti di 21 agenti della penitenziaria, del Comandante e del Direttore dell'istituto di quella città.
Ma ciò che è accaduto a S. M. Capua Vetere è altra cosa. Se le circostanze venissero confermate, lì è avvenuto qualcosa di simile a un atto di rappresaglia preordinato e condotto come un'operazione militare. Nel carcere campano avrebbero operato circa 300 agenti in una spedizione punitiva puntualmente programmata e realizzata. Tutto il contrario, cioè, di una reazione occasionale da parte di poliziotti esasperati e frustrati.
Emerge, piuttosto, un disegno che non può non aver coinvolto i livelli superiori dell'amministrazione, a partire dal Provveditorato regionale, responsabile di tutti gli istituti della Campania. E sembra che, lo stesso Provveditore, abbia lasciato intendere come, dell'operazione, fossero stati avvertiti i vertici centrali del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap). Viene in mente quanto accadde vent'anni fa nel vecchio carcere di Sassari: stessa tecnica, analoga modalità di azione, altrettante vittime.
Il relativo processo vide un esiguo numero di condanne e, tra esse, quella a carico del Provveditore regionale della Sardegna. E anche allora ci si chiese se non vi fossero responsabilità ancora più alte all'interno degli uffici centrali dell'amministrazione. Da qualche mese il Dap è retto da un nuovo gruppo dirigente, che si presenta come ispirato dai valori del rigore e della serietà. C'è da augurarsi che tali benemerite virtù non assumano solo la fisionomia della faccia feroce del controllo e della repressione, ma anche quella mite e sollecita di chi tutela i diritti dei cittadini, che tali restano pur se privati della libertà.
Infine, il Capo della Polizia Franco Gabrielli e il Comandante generale dei Carabinieri Giovanni Nistri hanno trovato - di fronte a vicende altrettanto scandalose - opportune parole di critica e di autocritica. Nel caso che i fatti di S. M. Capua Vetere venissero confermati, ascolteremo parole altrettanto nette magari prima della sentenza della Cassazione - da parte dei magistrati che guidano il Dap? E il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, intende dire qualcosa, almeno sul piano politico, o pensa, anch'egli, di attendere la sentenza definitiva e, nel frattempo, continuare a tacere?