di Giovanni Bianconi
Corriere della Sera, 21 gennaio 2021
I pm di Roma chiedono il rinvio a giudizio per quattro di loro. La trappola mortale in cui è caduto Giulio Regeni è svelata - almeno in parte - dalle dichiarazioni degli stessi uomini accusati di averla organizzata. Negli interrogatori resi da uno dei quattro militari egiziani ora imputati del sequestro e dell'omicidio del ricercatore friulano, ad esempio, sono contenute affermazioni reticenti, non credibili e a volte contraddittorie che la Procura di Roma considera indizi di una sua diretta responsabilità.
Contribuendo alla richiesta, firmata ieri dal procuratore Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco, di processare il generale Tariq Ali Sabir, già ai vertici della National security agency e da poco trasferito a incarichi amministrativi; il colonnello Athar Kamel Mohamed Ibrahim, già capo del Servizio investigazioni giudiziarie del Cairo; il colonnello Uhsam Helmy, anche lui funzionario della National security come il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif.
Proprio il colonnello Sharif - accusato anche delle torture e della morte di Giulio, gli altri solo del rapimento - è stato interrogato cinque volte dalla Procura generale egiziana, tra il 2016 e il 2018. La sua versione dei fatti sembra cucita per sminuire il proprio ruolo, e sostenere che la National security ha svolto solo regolari e normali indagini a carico di uno studente italiano che si comportava in maniera strana, poi prosciolto da ogni sospetto; stessa tesi della magistratura del Cairo, che s'è pubblicamente dissociata dalle conclusioni dei pubblici ministeri di Roma.
Ma proprio quei verbali, trasmessi all'Italia e allegati agli atti del procedimento, mostrano seri dubbi sulla ricostruzione fornita dall'Egitto. Sharif dice che fu il sindacalista Mohamed Abdallah a denunciare "uno straniero che stava svolgendo un'indagine sui venditori ambulanti, e temeva che lo sfruttasse per ottenere informazioni dannose nei confronti dello Stato. Questa persona è Giulio Regeni".
Il generale Sadiq decise di approfondire il caso e Sharif racconta: "Io ho collaborato con Abdallah per arrivare alla verità dei fatti". Però fu il sindacalista, "di sua propria iniziativa", a carpire informazioni sul bando per il finanziamento di 10.000 sterline da parte della società britannica Antipode, anche "fingendo che le sue condizioni finanziarie fossero difficili e che avesse bisogno di soldi per curare la moglie e la figlia". Sharif dice che la video-registrazione del colloquio tra Abdallah e Regeni del 7 gennaio 2016, quando il ricercatore italiano ribatte bruscamente alle richieste di denaro, fu un'iniziativa del sindacalista: "Propose di registrare gli incontri attraverso il suo telefono cellulare e portarmi le registrazioni per assicurarmi la sua sincerità". Abdallah afferma il contrario, e la conferma arriva dalla sua telefonata alla sede della National security in cui - terminato il colloquio con Giulio - chiede agli agenti di andare a toglierli di dosso la microtelecamera e il microfono che avevano installati sui suoi vestiti.