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di Damiano Aliprandi


Il Dubbio, 20 aprile 2021

 

È la risposta dell'azienda locale, sollecitata dal Garante nazionale sul caso di Vincenzino Iannazzo, detenuto al 41 bis al carcere di Parma. La pena, recita la nostra Costituzione, non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Vale per tutti, anche per chi si è macchiato di delitti mafiosi. In più aggiunge che non è ammessa la pena di morte. Eppure in questo momento è in atto un grave problema che rischia di disattendere tali principi, compreso il preservare la vita dei reclusi. Nel carcere di Parma, in particolar modo il centro clinico, non si è più in grado di dare assistenza ai detenuti che hanno gravi patologie fisiche.

Lo scrive nero su bianco la Asl locale tramite una segnalazione alle autorità. Accade così che Vincenzino Iannazzo detenuto al 41 bis nel carcere di Parma, con gravi patologie fisiche e psichiche, necessiti di assistenza intensiva, ma l'autorità sanitaria scrive nero su bianco che "l'assidua assistenza nello svolgimento delle attività quotidiane (H24), così come la corretta assunzione sopraindicata (terapia e alimentazione, ndr), non sono garantite in questi istituti". Non solo. La Asl approfitta per segnalare un problema generale.

Vale la pena riportare il passaggio del documento che Il Dubbio ha potuto visionare. "Si approfitta dell'occasione per segnalare che tali assegnazioni senza preavviso presso i nostri Istituti al fine di avvalersi del Sai per soggetti con patologie - si legge nella missiva - , necessitanti in ogni caso assistenza sanitaria intensiva, sta mettendo in seria difficoltà lo standard assistenziale di questa Unità Operativa: ad oggi si contano in Istituto circa n. 220 persone malate e con età avanzata, per la maggior parte allocate presso le Sezioni Ordinarie comprensibilmente inadeguate per la loro assistenza".

La relazione della Asl dopo la richiesta del garante sulle condizioni di un recluso - Tale relazione sul carcere di Parma nasce su richiesta del Garante nazionale delle persone private della libertà, per accertare le problematiche segnalate dall'associazione Yairaiha Onlus in merito alla vicenda del recluso Vincenzino Iannazzo.

Il responsabile sanitario infatti, dopo aver illustrato la modalità di trasferimento (senza preavviso e privo dei farmaci necessari, condizione questa già segnalata dal dirigente sanitario al direttore che a sua volta informava il Gip, il ministero, il provveditorato regionale e l'ufficio di sorveglianza e anche dall'associazione Yairaiha all'ufficio del Garante) riassume le patologie di cui è affetto Iannazzo: insufficienza renale cronica in paziente trapiantato di rene e fistola arterovenosa arto sup. sn.; demenza a corpi di Lewy con deterioramento cognitivo grave e Vasculopatia cerebrale cronica; cardiopatia ipertensiva; calcolosi della colecisti; sindrome ansioso-depressiva; spondiloartrosi diffusa. Una volta giunto al centro clinico, i medici hanno potuto accertare non solo tutte queste malattie, ma anche un aggravio. Soprattutto quello mentale. Iannazzo, che ricordiamo è al 41 bis, presenta allucinazioni visive e uditive. Si apprende che dal punto di vista cognitivo è presente un deterioramento cognitivo di grado grave caratterizzato da "una compromissione multi-dominio con gravi deficit di tutte le funzioni cognitive (memoria, funzioni esecutive, attenzione, prassi, ragionamento e linguaggio)".

Viene da pensare perché sia al 41 bis, visto che tale regime nasce non per torturare o per estorcere confessioni, ma per evitare che un boss dia ordini al proprio gruppo mafioso di appartenenza. Nonostante tutte queste patologie, su richiesta dell'Ufficio di Sorveglianza di Reggio Emilia, è stata prodotta una relazione medico legale nella quale il dottore si è espresso, nel complesso, per una situazione gestibile anche in ambiente carcerario, nonostante le criticità neurologiche, ma solo a patto "che al detenuto venga garantita un'assidua assistenza nello svolgimento delle attività quotidiane in merito alla corretta assunzione sia della terapia che dell'alimentazione".

Sandra Berardi, presidente dell'associazione Yairaiha: "Questa è la rieducazione?" - Ma, com'è detto, la Asl dice chiaramente che al carcere di Parma non sono in grado di poter garantire un'assidua assistenza sanitaria. Sandra Berardi, presidente dell'associazione Yairaiha, spiega a Il Dubbio che la prevalenza delle loro segnalazioni sono relative a gravi, se non gravissime, problematiche di salute che all'interno delle strutture penitenziarie non riescono ad essere affrontate e ciò vanno a "configurare quel trattamento inumano e degradante che la nostra Costituzione, e prima ancora la nostra umanità, vietano espressamente".

Berardi denuncia con forza: "Mi chiedo che senso abbia la detenzione per una persona come Iannazzo e per tutti quelli si trovano in condizioni simili. Qual è la funzione che esercita su di loro? Questa è la rieducazione? È così che si realizza la sicurezza dell'Italia? Qual è il pericolo che corre la società da questa persona tanto da dovergli continuare ad applicare il regime di 41 bis?". E conclude: "La scorsa estate, per Iannazzo è stato rinnovato il decreto applicativo del 41 bis ed è stata presentata opposizione dai suoi legali (ad oggi il ricorso risulta ancora pendente al Tribunale di Sorveglianza); un caso in cui mi sembra corra l'obbligo del differimento della pena, come da Costituzione e leggi attualmente in vigore".

 

Una situazione critica già segnalata in un documento del marzo 2020

 

Il carcere di Parma è una casa di reclusione che al suo interno è suddivisa in quattro strutture: una per i detenuti in alta sicurezza (AS3), un'altra per i detenuti comuni di media sicurezza, un'altra ancora per l'alta sicurezza per gli ex 41 bis (AS1) e infine il 41 bis. Oggi risultano 14 detenuti positivi al covid, 10 solo al 41 bis. Fortunatamente non hanno condizioni preoccupanti.

A prescindere dall'emergenza covid, la questione sanitaria è in difficoltà. Il centro clinico del carcere di Parma - adibito per un massimo di 29 posti - è diventato un punto di riferimento anche per gli altri penitenziari: inviano i loro detenuti (anche comuni) malati che, una volta superata la fase diagnostica, rimangono però nel carcere. Il risultato è quello denunciato dalla relazione della Asl che Il Dubbio ha reso pubblico oggi: 220 persone malate e con età avanzata, per la maggior parte allocate presso le Sezioni Ordinarie comprensibilmente inadeguate per la loro assistenza.

Questo fa il paio con l'altro documento, sempre reso pubblico da Il Dubbio, che uscì nel pieno della prima ondata. Vale la pena ricordarlo, anche perché - paragonato con la relazione attuale - sembrerebbe che la situazione sia rimasta invariata. Il centro clinico ospita detenuti con trapianti, immunodepressi, diabetici scompensati, carcinomi, lesioni ossee. A tutto questo si aggiunge un altro elemento critico. "Preme segnalare - si legge nel documento risalente a marzo del 2020 - che sono state disposte allocazioni inappropriate direttamente dall'amministrazione penitenziaria, senza alcuna certificazione o parere medico".

Non solo. La Asl parte dal presupposto che il centro clinico - secondo l'accordo Stato- Regioni del 2015 - ospita in ambienti penitenziari detenuti che, per situazioni di rischio sanitario, possono richiedere un maggiore e più specifico intervento clinico non effettuabili nelle sezioni comuni, restando comunque candidabili per una misura alternativa o per il differimento o la sospensione della pena per motivi di salute. Quindi l'inserimento in tali strutture risponde a valutazioni strettamente sanitarie e il venir meno delle motivazioni cliniche che giustificano la presenza nel centro clinico, dovrebbero essere sufficienti di per sé a portare la direzione degli Istituti penitenziari alla tempestiva ritraduzione del paziente all'istituto di provenienza. Invece accadrebbe il contrario. È stato preso in considerazione ciò che si denunciava già a marzo del 2020?