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di Vincenzo Vitale


L'Opinione, 20 aprile 2021

 

Per capire come e quanto la Corte costituzionale sia ormai preda di una pericolosa deriva - e noi tutti vi siamo trascinati - basti considerare ciò che essa ha fatto pochi giorni or sono. Chiamata a valutare la eventuale illegittimità costituzionale di una norma, che esclude dal beneficio della liberazione condizionale gli ergastolani condannati per reati di mafia che non abbiano collaborato con gli investigatori, la Corte ha dichiarato illegittima la norma, ma ha evitato di cassarla - come avrebbe dovuto per semplice rispetto delle norme costituzionali e delle leggi che gliene fanno specifico obbligo - dando al Parlamento oltre un anno di tempo per modificarla.

Sicché, oggi, abbiamo un esito sconcertante per uno Stato di diritto, quale il nostro dovrebbe essere, ma non è: una norma già dichiarata incostituzionale dalla Corte per contrasto con l'articolo 3 e con l'articolo 27 della Costituzione, ma che invece continua tranquillamente dentro l'ordinamento a sopravvivere come nulla fosse. Insomma, una vera follia istituzionale, spacciata per normalità. Si tratta invece di una gravissima ferita costituzionale inferta al nostro ordinamento, costretto a far permanere la vigenza di una norma che tutti sappiamo contraria alla Costituzione - cioè alla legge fondativa della nostra comunità politica - e che invece continua ad espletare i propri effetti.

E che diremo allora a quegli ergastolani - pochi o molti che siano - i quali, se la Corte avesse cassato la norma già valutata illegittima, come era suo preciso dovere fare, avrebbero potuto giovarsi di questa pronuncia, beneficiando della liberazione condizionale? Diremo, con evidente e grande imbarazzo, di aver pazienza, di attendere un annetto e che poi si vedrà. Una figura a dir poco imbarazzante in termini di semplici rapporti umani. Una gravissima lesione dell'ordinamento giuridico in termini istituzionali. E per di più consumata nientemeno che dalla Consulta, cioè dall'organo che avrebbe lo specifico compito di tutelare la Costituzione da possibili violazioni, da qualunque parte provengano.

Cosa si direbbe se, a titolo d'esempio, un giudice di un qualunque Tribunale prima dichiarasse pubblicamente che un certo imputato è colpevole del reato ascrittogli, perché le prove sono certe e inoppugnabili. Ma, subito dopo, invece di condannarlo alla pena di spettanza, gli dicesse solennemente all'incirca quanto segue: per ora, benché tu sia colpevole, non ti condanno; ti assegno un anno di tempo, vedi tu che ti riesce di combinare nel frattempo. Magari riesci a risarcire il danno alla vittima del reato... magari ti riesce di far rimettere la querela... così ti guadagni almeno una attenuante... vedi un po' e fra un anno ci rivediamo. Ebbene, se davvero un giudice facesse questo, tutti lo prenderebbero per matto e ne chiederebbero subito l'esclusione dalla magistratura, per il semplice motivo che costui cercherebbe di sostituire alla logica del diritto - che egli dovrebbe custodire - la logica della politica, dell'opportunità, della circostanza. Il che è esattamente ciò che ha fatto la Corte costituzionale, proponendosi quale terza Camera, accanto alle altre due tradizionali.

Infatti, valutare e dichiarare una norma illegittima; evitare di abrogarla; rinviare di oltre un anno; dare un termine al Parlamento, invitandolo ad intervenire sulla norma già dichiarata incostituzionale: sono tutti comportamenti tipici dell'azione politica e non certo di quella giurisdizionale quale dovrebbe invece essere quella della Consulta. Per questa ragione dobbiamo, con grande preoccupazione, registrare una pericolosa deriva da cui essa è afflitta, una deriva che appare devastante per la nostra povera Italia, dal momento che non si sentiva il bisogno di una Terza Camera quale la Corte è diventata. Una Corte che si macchia, dunque, di una pericolosa invasione di campo nei confronti del Parlamento. E Sergio Mattarella?