di Andrea Bonanni
La Repubblica, 1 maggio 2021
Le sanzioni della Russia all'Europa sono la "risposta asimmetrica" annunciata il 21 aprile: Putin ha voluto alzare il tiro. Eccola qua, la "linea rossa" di Vladimir Putin. Ed ecco anche la "risposta asimmetrica" che il presidente russo aveva minacciato nel suo discorso del 21 aprile. E asimmetrica lo è davvero. Perché l'Europa aveva sanzionato poliziotti e giudici direttamente coinvolti nella persecuzione di dissidenti, come Aleksej Navalnyj, o degli omosessuali in Cecenia.
Invece il Cremlino alza decisamente il tiro e colpisce, tra gli altri, nientemeno che il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, che secondo i Trattati è la più alta carica istituzionale della Ue, oltre alla vicepresidente della Commissione, Vera Jurova, responsabile per i valori e la trasparenza. E' come se la Ue avesse sanzionato lo stesso Putin e uno dei nove vicepresidenti del governo russo. Una vera aggressione. Sarà un caso, ma sia Sassoli sia Jurova sono membri del Partico socialista europeo (PSE). E forse un caso non è, visto che ormai, dalla Brexit al Covid, dai Balcani alle elezioni francesi il Cremlino ambisce ad essere un interlocutore fisso del dibattito politico interno alla Ue, dove le sue simpatie (e i suoi soldi) vanno in direzione della destra estrema.
Così, mentre la Russia cerca di inserirsi nella politica interna europea (e americana), l'Europa, pur non avendone i mezzi, cerca di fare politica estera. Lo fa, appunto, in nome dei valori democratici che sono la sua ragione essere. Ed è proprio questo che manda fuori dai gangheri i vecchi e nuovi autocrati. Come spiega il comunicato del ministero degli Esteri russo, la colpa della Ue è quella di "imporre il concetto sbilenco di un ordine mondiale basato sui valori che mina il diritto internazionale". È la stessa rimostranza espressa a marzo dai cinesi, quando hanno risposto alle sanzioni Ue contro quattro ufficiali di Pechino responsabili della repressione contro gli Uiguri sanzionando una decina di personalità europee, tra cui numerosi eurodeputati.
È evidente, a questo punto, che il più grande Parlamento democratico dell'Occidente dà fastidio ai molti despoti che bullizzano il Pianeta con i loro soldati, i loro mercenari e i loro poliziotti, da Putin, a Xi Jinping, al presidente turco Recep Tayyp Erdogan. Ed è ancora più evidente che l'Europa, nelle sue componenti sovrannazionali come il Parlamento e la Commissione, dà molto più fastidio della somma dei suoi Stati e delle loro diplomazie, sempre attente alla Realpolitik dell'interesse immediato. Sono pochi i leader nazionali che, come Mario Draghi con Erdogan che maltratta Ursula von der Leyen, sanno uscire dai binari del diplomaticamente corretto.
Che le istituzioni europee fossero la vera bestia nera di Putin, del resto, era già apparso chiaro dal trattamento offensivo che il Cremlino aveva riservato a febbraio all'Alto rappresentante Ue per la politica estera, Josep Borrell, andato a perorare la causa di Navalnyj. È da quello sgarbo, rimasto senza risposta adeguata da parte dell'Europa, che è cominciata l'ultima slavina delle relazioni tra Mosca e Bruxelles.
Adesso, dunque, si pone il problema di una risposta commisurata all'aggressione russa. "Quanto peggio deve andare prima che l'Ue vada oltre le sanzioni simboliche e colpisca gli oligarchi intorno a Putin?", ha scritto ieri il parlamentare belga Guy Verhofstadt, già da tempo sulla lista nera del Cremlino. "Risponderemo con misure appropriate", hanno comunicato i tre presidenti delle istituzioni Ue. All'Unione non mancano gli strumenti per colpire la Russia. Ma, politicamente, la risposta più importante dovrebbe venire da governi e parlamenti nazionali, per dimostrare che chi colpisce le istituzioni dell'Europa colpisce anche i suoi Stati membri e sanare così la frattura che i nemici della democrazia cercano di creare nella costruzione comunitaria. Purtroppo, ieri, le capitali hanno taciuto.