di Linda Laura Sabbadini
La Repubblica, 1 maggio 2021
Il governo dovrà assicurarsi che le risorse del Recovery favoriscano le categorie più fragili, che sono state anche quelle più colpite dalla pandemia.
Primo Maggio del lavoro, che non c'è. Del lavoro perduto. Un Primo Maggio triste. Per molti doloroso. Il lavoro è dignità della persona, è un pezzo della nostra identità, di noi stessi. Indipendentemente dal tipo di attività che ciascuno di noi svolge. È la bellezza del dare un contributo alla comunità di cui si fa parte e di migliorarsi. L'Italia ha indici di soddisfazione alti del lavoro. Indipendentemente dalle mansioni svolte. E questa è una bella cosa. È l'Italia operosa, creativa, innovativa, che abbiamo sempre conosciuto ma che ora, in molte sue parti, soffre, non vede futuro. D'altro canto c'è il lavoro più garantito e quello meno, o per nulla. Esistono anche lo sfruttamento e la schiavitù.
E i momenti più critici sono proprio quelli che stiamo attraversando. Quanto più la situazione economica è difficile, tanto più il rischio di sfruttamento cresce. Perchè molti cittadini, soprattutto i più vulnerabili e fragili, sono maggiormente esposti al ricatto di non avere di che sfamarsi o mantenere la famiglia. Mai come ora è fondamentale che il governo vigili sulle forme di sfruttamento che assumono tipologie tra le più varie e nuove e spesso fin troppo visibili.
Ma quale è il lavoro perduto? I dati sono stati diffusi ieri dall'Istat sul mese di marzo 2021. Quasi 900 mila occupati in meno rispetto a febbraio 2020, prima dell'inizio della pandemia. Nonostante il blocco dei licenziamenti. Nonostante la cassa integrazione. Il lavoro perduto è soprattutto femminile (-4,5% contro -3,4%), donne giovani che vivono con i genitori o con il partner, senza o con figli. E ciò perchè il settore dei servizi è stato più colpito dagli effetti della pandemia, e in particolare i servizi alle famiglie, turismo, ristorazione dove le donne sono più presenti, per di più con contratti più precari e spesso lavori irregolari.
Il lavoro perduto è quello dei dipendenti a tempo determinato (-9,4%) e dei lavoratori indipendenti (-6,6%) che hanno raggiunto il minimo, 345 mila in meno, per un totale di 4 milioni 893 mila autonomi. Il lavoro perduto è soprattutto giovanile. E qui la questione è seria. Tra i 25 e i 34 anni il tasso di occupazione è arrivato al 60,3%, 10 punti sotto marzo 2008, e cioè prima della precedente crisi. Il 40% dei giovani che dovrebbero cominciare a costruirsi una vita indipendente non ha lavoro. Come e quando riusciranno a costruire percorsi di autonomia?
Il lavoro perduto è il lavoro dei migranti, sempre più invisibili, assenti dalla narrazione collettiva. Sono loro ad aver subito le conseguenze peggiori. Molto più degli italiani. E tra loro soprattutto le donne. Perché le donne con cittadinanza straniera lavorano soprattutto nei servizi domestici e nella ristorazione. Al contrario gli uomini sono più impiegati nell'edilizia ed hanno così risentito meno degli effetti della pandemia. Tra le donne sono state le cinesi ad essere tra le più colpite, per lo più lavoratrici indipendenti nella ristorazione, e le filippine inserite soprattutto nei servizi domestici. Il lavoro perduto è il lavoro in tutte le zone del Paese, ma nel Sud la situazione è gravissima.
Stiamo affrontando la prova più dura della nostra vita, la più dura dalla Seconda Guerra Mondiale. Dobbiamo metterci la volontà, l'impegno, la forza, la creatività dei nostri genitori e nonni per uscirne fuori. E ce la faremo. L'Unione Europea ed il nostro Governo stanno mettendo in campo risorse straordinarie che permetteranno la creazione di nuovo lavoro ed una nuova crescita. Ma attenzione, dovranno vigilare perchè la crescita non sia disuguale. E dovranno mettere in campo strumenti per la valutazione di impatto delle politiche per correre ai ripari nel momento in cui si verificheranno le distorsioni. Si sarebbe dovuto fare prima. Lo si faccia al più presto, valutando l'impatto delle misure adottate. Soprattutto di genere, visto che la massa degli investimenti si concentrerà in settori ad alta intensità occupazionale maschile e il nostro Paese è sprofondato nella classifica europea dell'occupazione femminile. E soprattutto si sia immediatamente disponibili a cambiare rotta ai primi segnali negativi. Il Paese se lo aspetta.
*Linda Laura Sabbadini è direttora centrale Istat