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di Fabio Tonacci

La Repubblica, 27 luglio 2022

Dall’impegno di rimpatriare 500mila migranti a quello di bloccare le navi Ong: il leghista torna a cercare voti sfruttando gli sbarchi, ma il suo piano fu un flop.

Lampedusa - Volano gabbiani sul mare dove si sono inabissati i decreti sicurezza di Matteo Salvini. Passa un motoscafo con un gruppo di ragazzi in costume che ascolta l’ultima di Elodie a volume esagerato, sul molo commerciale di Lampedusa un rimorchio pieno di scaldabagni da smaltire aspetta di essere portato via. Fanno 36 gradi a mezzogiorno. Il mare è calmo, come lo era il 29 giugno di tre anni fa quando la Sea Watch di Carola Rackete con 40 naufraghi a bordo attraccò proprio qui, forzando il divieto dell’allora ministro dell’Interno. “Atto di guerra!”, tuonò lui, esultando per l’arresto della comandante. “La nave fuorilegge ha finito di andare in giro per il Mediterraneo”. Quella notte, invece, segnò l’inizio della fine della sua politica sull’immigrazione, l’esempio forse più clamoroso di un rosario di promesse securitarie propinate durante la campagna elettorale e, a conti fatti, mai mantenute.

“Centomila espulsioni l’anno” - Salvini comincia presto, e col botto. Già a fine 2017, in visita al quartiere Sant’Elia di Cagliari, assicura che imprimerà ai rimpatri di chi non ha il permesso di soggiorno una svolta mai vista prima. “L’impegno del centrodestra deve essere quello di fare centomila espulsioni all’anno, mezzo milione di clandestini riportati al loro Paese in cinque anni: mezzo milione di persone che non scappano da guerre” (26 novembre 2017).

Comizio dopo comizio, la cifra salirà a 600 mila. Farà inserire l’obiettivo anche nel Contratto di governo con i 5 Stelle. Ma il leader della Lega non sa, o finge di non sapere, che qualsiasi operazione di rimpatrio degli irregolari presenti sul territorio italiano non può prescindere da accordi bilaterali con i Paesi di provenienza. E non è esattamente una passeggiata convincere regimi, governi in guerra, stati in pieno collasso economico a riprendersi i propri cittadini. Alla fine del mandato al Viminale, i dati saranno impietosi: da giugno 2018 a giugno 2019 vengono rimpatriati 7.289 migranti, meno che con il governo Gentiloni (7.383) e neanche un decimo dei centomila annui con cui ha convinto gli elettori. L’unico accordo siglato nelle vesti di ministro in nome di quello slogan “aiutiamoli a casa loro” che tanto piace ai sovranisti è con la Costa d’Avorio.

La vittoria delle Ong sul ministro - “Aumentare le espulsioni e ridurre gli sbarchi” (1 giugno 2018), ribadisce nel giorno del giuramento al Colle. “Per colpa della mia ossessione, gli sbarchi sono diminuiti” (15 agosto 2019), rivendicherà poi, dopo aver affossato il Conte I con la mossa del Papeete. Vediamo. Nel 2017, ministro dell’Interno Marco Minniti, gli arrivi via mare sono 119 mila. Nel 2018, 23 mila. Un crollo drastico, che Salvini si intesta e di cui si vanta. I dati scorporati mese per mese, tuttavia, dimostrano che il primo calo si ha a partire dal febbraio 2018, col ministro Pd: la sua politica di governo dei flussi migratori - accordi con le tribù libiche, costruzione della zona Search and rescue sotto la responsabilità di Tripoli, finanziamento della guardia costiera libica - provoca l’aspra reazione di ong, operatori umanitari e movimenti per i diritti umani ma dimezza gli sbarchi. Tanto che a maggio 2018, alla vigilia dell’esecutivo giallo-verde, sono 3.963 quando nello stesso mese dell’anno precedente avevano raggiunto quota 23 mila. Salvini, dunque, non fa altro che proseguire nel solco scavato dal predecessore.

Porta a casa, però, i decreti sicurezza, ben due, che hanno tra le finalità l’opposizione alle imbarcazioni della solidarietà. “L’Italia ha già chiuso i suoi porti, le navi straniere in Italia non toccheranno più terra”, (30 giugno 2018). Continueranno invece ad attraccare, ma solo dopo inutili lungaggini per l’assegnazione del porto e pretestuosi ostracismi che porteranno all’apertura di diverse inchieste penali sull’ex ministro e al prolungamento delle sofferenze dei naufraghi a bordo. Fino al caso Rackete, scagionata da ogni accusa e liberata da giudice per le indagini preliminari di Agrigento con un provvedimento che fa a pezzi la norma sovranista. “Il decreto sicurezza bis non si può applicare alle azioni di salvataggio”, “Rackete ha adempiuto al dovere di salvare la vita dei naufraghi”. Il dl è stato cancellato.

“Assumo 10mila poliziotti”: ma il saldo finale è negativo - Prima della fine del Conte I, Salvini fa in tempo a deludere poliziotti e carabinieri, di cui indossa volentieri le felpe in pubblico. “Promettiamo un piano di assunzione straordinario nelle forze dell’ordine, per circa 10.000 uomini e donne” (3 ottobre 2018). Nella legge di bilancio 2019, si trova traccia di sole 7 mila assunzioni, spalmate in cinque anni (ma questo Salvini non lo dice) perché è inverosimile pensare che le scuole di polizia possano addestrare così tanti agenti in pochi mesi.

E comunque, con le uscite per i pensionamenti, il saldo sarà negativo (Salvini non dice neanche questo). Il leader della Lega ha inaugurato la campagna elettorale per le Politiche ripartendo dal tema a lui più caro. “Basta immigrati, difenderò i confini”, torna a dire oggi, il déjà vu del 2017. Annuncia una visita il 4 agosto a Lampedusa, dove l’hotspot è in condizioni drammatiche. Troverà il molo della sua sconfitta. Il mare del naufragio delle sue promesse. E i gabbiani.