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di Emanuele Imperiali


Corriere del Mezzogiorno, 4 ottobre 2020

 

Un passato da spacciatore, adesso gestisce una fattoria didattica a Scampia "Alcune associazioni che operano alle Vele vogliono soltanto fare business". "Sono un analfabetizzato di ritorno". Così ama definirsi Davide Cerullo, in un dialetto napoletano dolcissimo e appassionante. Lo incontro a Bologna, al Festival del lavoro organizzato da Osvaldo Danzi e Stefania Zolotti di "Senza Filtro-Nobilita", dove tante persone, tra i 30 e i 50 anni, affollano l'auditorium di Fico. Cosa ha da dire un ex detenuto, un ex malavitoso delle Vele di Scampia dove spacciava droga e l'hanno arrestato, a tanti esperti di lavoro?

"Vedi - replica sornione - il lavoro nobilita l'uomo, il non averlo lo rende come le bestie. La criminalità organizzata prospera proprio dove c'è fame di occupazione. Gomorra ha fatto un gran male a noi di quel territorio, perché i suoi personaggi diventano miti distorti per i giovani. Perciò sono venuto, per testimoniare il dramma di tanti ragazzi delle periferie di Napoli che vivono un grado di disperazione che fa paura".

 

Come un delinquente cambia pelle e decide di redimersi, attraverso il drammatico percorso del carcere?

"Quando ero nella malavita la morte e la galera non mi spaventavano, la disperazione, invece, sì".

 

Perché sei diventato uno spacciatore?

"Avevo 14 fratelli tutti malavitosi, a cominciare da mia madre che conservava droga e armi per i clan. Non mi potevo permettere, mi umiliava avere le scarpe rotte, una camicia di taglia troppo grande o troppo piccola, gli altri coetanei mi prendevano in giro. Appena diventato spacciatore, a 14 anni, guadagnavo un milione di lire al giorno".

 

Cerullo dal palco bolognese parla di dignità di vivere, non di sopravvivere. Davide, cosa comporta entrare nella camorra?

"È l'unica mafia nella quale puoi aderire subito, nella 'ndrangheta sei costretto a un lungo tirocinio. In quartieri come Scampia è facile trovare chi si serve di te, pagandoti, ma il prezzo è la propria libertà, quando non la vita". Poi Cerullo ci tiene a chiarire una cosa: "C'è la malavita e c'è la mala gente, come chi ti offre un lavoro dandoti 70 euro a settimana, perché tanto guadagna un ragazzo in un negozietto delle periferie".

Il carcere e il rispetto da boss Davide, raccontaci l'esperienza del carcere: "Ho incontrato gente dei padiglioni Napoli e Palermo a Poggioreale che soffre molto, tossicodipendenti che non sono assistiti. Capisci di non essere più una persona. Un ragazzo una volta mi ha detto di sentirsi addosso la puzza di chiuso, aggiungendo che sapeva di aver sbagliato, e che era giusto pagarne il prezzo, ma era inaccettabile che oltre a privarlo della libertà gli togliessero anche la dignità di esistere". Davide è stato in carcere un anno, nel '92, aveva 18 anni e un giorno, ma si faceva già rispettare, perfino dai boss. "Sarei dovuto andare nel padiglione "Genova" di Poggioreale, invece mi hanno recluso in quello Avellino, alla stanza numero 31, dove eravamo in 25 in una cella, 25 criminali con un unico bagnetto e un cucinino. Alla 30 c'era l'intero clan camorristico dei Sarno di Ponticelli. La mattina alle 5 ci buttavano giù dalle brande per il controllo e buttavano tutto all'aria. La notte spesso non riuscivamo a chiudere occhio per le urla e le grida".

Capisci perché chi entra in quella "scuola di vita" ne esce più criminale di prima. Una volta

Cerullo ha litigato con un Sarno, volevano regolare i conti a coltellate, "un mio compagno mi impedì di uscire per l'ora d'aria, altrimenti mi avrebbero ammazzato".

Poi, la svolta, quel Vangelo trovato un giorno sulla branda, rientrato dall'ora d'aria: "Lo sai che nel Vangelo del carcere ci sono due pagine strappate perché le presi io e le conservai, ma mi vergognavo a leggerle davanti agli altri". Perché Davide, ti consideravi San Paolo convertito sulla via di Damasco? "Le presi perché in quelle pagine ricorreva tante volte il nome Davide, e capii che un carcerato, ancor più che di giustizia, ha bisogno di misericordia".

Quando esce da Poggioreale Cerullo si sente cambiato dentro, incontra le persone giuste, decide di rinascere ai propri occhi oltre che a quelli del suo mondo di sempre. Oggi Davide è un altro uomo, ha capito che la vera scommessa è l'istruzione, che la scuola deve essere maestra di vita, come diceva don Milani, secondo il quale l'abbandono scolastico è la vera piaga sociale.

Il ritorno a Scampia - Dopo essere stato sei anni a Modena, è tornato a Scampia, ha pubblicato un libro di fotografie con una casa editrice francese, ha creato nel quartiere una fattoria didattica con l'asinello Ciro, il cane Coco, le caprette; si chiama "L'albero della Storia", e accoglie i bambini della zona. Su un punto non transige: "Sappi che ho più timore dell'antimafia che della mafia, perché tra le 80 associazioni che operano alle Vele e dintorni la volontà è spesso quella di sostituirsi allo Stato, per fare business". Il messaggio è chiaro: spetta alle Istituzioni il compito di risanare le periferie degradate.