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di Giulio Isola

 

Avvenire, 9 luglio 2020

 

Almeno un "effetto collaterale" benefico per, il carcere italiano, il Covid l'aveva prodotto: cancellare (o quasi) il cronico sovraffollamento delle celle. Ma purtroppo il piccolo vantaggio sta già annullandosi perché, dopo il costante calo da marzo a maggio (dalle 7 alle ottomila presenze in meno), i numeri forniti dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria al 30 giugno fanno segnare un'inversione di tendenza rispetto al periodo dell'emergenza.

Il grafico è presto tracciato: a fine febbraio i detenuti nelle carceri italiane erano oltre 61mila, in progressiva crescita tra 2019 e inizio 2020 e a fronte di una capienza regolamentare ferma a 50.472 posti nei 189 istituti di pena sparsi sul territorio italiano. Poi - "grazie" al Coronovirus e al forte pericolo di contagio per tre mesi le presenze sono calate bruscamente, facendo addirittura sperare che sarebbe stato raggiunto il dato "storico" di un pareggio fra la capacità teorica e la popolazione carceraria effettiva: ad aprile infatti si era arrivati a 53.904 detenuti, a fine maggio se ne contavano circa 53.300.

Ora invece il livello è risalito a 53.579 (17.510 stranieri, 2.250 donne): un aumento in sé relativo, ma che indica come l'"effetto pandemia" nelle patrie galere si sia esaurito. Non solo: poiché è da presumere che durante il lockdown le autorità giudiziarie competenti abbiano "rinviato" un certo numero di arresti, diventa probabile che per recuperare il tempo perduto il numero dei "ristretti in carcere" torni presto ai livelli del passato.

Dall'altro lato delle sbarre, peraltro, i sindacati di Polizia Penitenziaria denunciano un secondo calo ben poco fisiologico: quello degli agenti, passati da 45mila a 41mila (di cui però solo 37mila in servizio attivo) quando ne occorrerebbero 47mila anche per fronteggiare le rivolte che - altra conseguenza del virus - in marzo hanno interessato una trentina di istituti, con morti tra i detenuti, feriti nella polizia e devastazioni sulle strutture.

A torto o a ragione, infatti, la paura del contagio (1.500 detenuti hanno problemi psichici) ha dato un'ulteriore spinta all'aumento delle aggressioni e delle violenze nelle celle. Nel frattempo anche in cella si passa alla "fase 2". La settimana scorsa la Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà e la Conferenza nazionale Volontariato Giustizia si sono riunite (in streaming) per aggiornarsi sulla situazione dei penitenziari anche in vista di un graduale rientro nelle carceri degli operatori del terzo settore.

Le raccomandazioni sono le solite: triage di ingresso, distanziamento di un metro e mezzo dai detenuti, uso puntuale di mascherina e gel igienizzante. È comunque importante che - soprattutto in questo periodo estivo - non vengano interrotte le attività formative e di rieducazione o reinserimento, magari distribuendole in gruppi più limitati e spazi ampi o all'aperto. Deve inoltre proseguire l'esperienza "da remoto", particolarmente adatta per i servizi di sostegno individuale e le attività di scolastiche ed educative, ma pure per i colloqui familiari; il digitale anche (e ancor più) nelle carceri ha infatti dimostrato in questo periodo tutte le sue potenzialità ed è divenuto un'opportunità aggiuntiva per approfondire alcune attività o creare nuove iniziative.