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di Giovanni Maria Flick

Il Dubbio, 20 marzo 2023

Riportiamo di seguito la prolusione (testo ridotto) esposta sabato scorso dal presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick in occasione della seconda edizione del Master di II livello in Diritto penale d’impresa e della Pubblica amministrazione organizzato dall’Università Lumsa, seguita dalla presentazione del volume, curato dallo stesso presidente Flick, intitolato “Il filo rosso della giustizia nella Costituzione. Un percorso di vita”.

L’eccezione del doppio binario è diventata stabile. Abbiamo sostituito il processo con il sistema, privo di garanzie, delle misure di prevenzione. Abbiamo abusato del 41 bis, della custodia preventiva, di strumenti come il trojan. Pur tra alcune risposte efficaci a Tangentopoli, “Mafiacity” e “Nerolandia”, ha prevalso spesso una babele di nuove norme, di giurisdizioni e competenze, alimentata dalle relazioni pericolose tra magistratura e informazione. Ora ci vuole pazienza e sforzo di comprensione per voltare davvero pagina.

1. Obiettivo: un diritto penale dell’economia che faccia economia di diritto penale; il meno possibile per i suoi numerosi e diversi costi, ma tutto quello necessario per i crescenti e sempre più diffusi valori, principi e interessi in gioco. Il punto di equilibrio fra i due estremi va cercato prima di tutto nella Costituzione, la Carta della nostra convivenza, come per tutte le ipotesi di contrapposizione effettiva o apparente, reale o potenziale, fra valori, principi e interessi diversi.

Ma quale Costituzione? Il primo problema: la nostra Costituzione è ancora attuale a 75 anni dalla sua nascita in un contesto profondamente diverso da allora, come molti si chiedono? O essa non è ancora attuata in tutto o in parti significative? Il difetto di attualità ora denunziato è in realtà un alibi per non averla attuata prima.

2. Il secondo problema: quale lettura e approccio per conoscere la Costituzione? Vi sono diverse possibilità:

a) un approccio e un approfondimento storico, filosofico e accademico; è essenziale e necessario ma è poco conosciuto, poco diffuso e capito in un contesto di crescente crisi culturale: cancel culture; emoticon; acronimi, scomparsa del libro e della biblioteca…; b) uno nazional popolare: “La Costituzione più bella del mondo” sul cavallo bianco e nel festival, magari con un applauso autorevole che aiuti a sottolinearne l’importanza se viene letto e capito in uno con la successiva presenza del suo autore sulla spiaggia di Cutro di fronte alla tragedia dei migranti; c) uno politico-utilitaristico (il più insidioso): l’utilizzazione e l’eventuale richiesta di modifica della Costituzione in singoli aspetti e frammenti, per finalità di “politica quotidiana” (es. l’Assemblea costituente per “consolidare” in realtà una maggioranza divisa in più parti; la delegittimazione del Parlamento per composizione numerica o per riduzione di competenze; l’autonomia locale/regionale potenziata a discapito dell’unità, indivisibilità e soprattutto solidarietà, in un baratto con un presidenzialismo non meglio precisato nel contenuto e nel check and balance, per compensare la perdita di un garante imparziale della Costituzione e del suo equilibrio, oggi più che mai essenziale e richiesto); d) uno programmatico e al tempo stesso precettivo per la nostra convivenza, nella semplicità e chiarezza del suo linguaggio e della sua “presbiopia”: guarda al passato per vivere il presente della convivenza e dei suoi molteplici problemi progettando il futuro.

7. La libertà di iniziativa economica. Nella scala di valori essa assume un particolare rilievo per il tema del diritto penale dell’economia; trova un limite nel contrasto con la utilità sociale e nel danno alla salute, all’ambiente dopo la recente e importante riforma dell’articolo 9 e dell’articolo 41 della Costituzione, alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

Altrettanto importante è il riferimento dell’articolo 32 alla salute come fondamentale (unico nella definizione) diritto dell’individuo, inteso non solo come assenza di malattia, ma come situazione di benessere. Esso si raccorda con il diritto alla salubrità dell’ambiente e del luogo di lavoro, nonché - negli articoli 36 e seguenti - con la serie dei diritti a tutela del lavoro in tutte le sue forme: dalla formazione alla retribuzione dei lavoratori e lavoratrici e dei minori, alle condizioni di lavoro, alla tutela assicurativa, previdenziale e pensionistica, alla organizzazione sindacale etc. Il diritto del lavoro è stato esplicitamente costituzionalizzato a differenza del diritto civile e di quello commerciale. Esso non può essere sottoposto solo alle logiche del mercato e alle sue indicazioni di delocalizzazione, di modificazione delle prestazioni lavorative senza adeguata formazione, di soppressione dei posti e delle occasioni di lavoro, nella vorticosa espansione, e ora nella crisi, della globalizzazione e nello straordinario e incessante progresso tecnologico che la accompagna.

(...)

11. Le riflessioni che precedono assumono un particolare rilievo di fronte al problema della crisi della giustizia e segnatamente di quella penale sotto molteplici aspetti: della legge, del giudice e del suo ordinamento, del processo (penale in specie), della pena.

In un percorso più che trentennale dalla riforma del codice di procedura penale c.d. Vassalli, sono stati molteplici gli interventi su quest’ultimo. Essi peraltro sono stati disorganici; sono stati caratterizzati da stimoli particolari e da un confronto aspro tra magistratura ed avvocatura, nonché da un sostanziale assenteismo della politica sino alle ultime iniziative di riforma. Queste ultime sono state accompagnate da un cambio di maggioranza politica e da una serie crescente di pressioni sia in sede di Unione Europea, sia da parte della Corte costituzionale, sia da parte della politica e dell’economia; è urgente adeguare l’ordinamento giudiziario, la normativa penale sostanziale e quella processuale, civile e penale, nonché il sistema delle pene alla realtà del nostro paese.

12. La crisi della giustizia può sintetizzarsi nella incapacità complessiva del sistema di essa, nonostante gli sforzi, di produrre i due frutti che le sono propri e sono fondamentali fra l’altro per il rapporto fra giustizia ed economia: la ragionevole durata dei processi; la ragionevole prevedibilità dell’esito di quei processi. Entrambe queste ultime sono essenziali per gli investimenti nel nostro paese; per le loro influenze sul prodotto interno lordo; per il contesto di legalità, sicurezza e fiducia che deve caratterizzare la convivenza politica, civile, sociale ed economica.

Per raccogliere quei due frutti non sono stati necessari leggi e organismi speciali secondo logiche emergenziali. Basta ricordare ad esempio che la sconfitta della criminalità terroristica si è realizzata soprattutto per l’impegno e il sacrificio sia della magistratura che delle forze dell’ordine e di quelle sociali.

13. Per contro si è dovuta registrare una forte espansione della criminalità organizzata, con la sua trasformazione che è culminata nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio a Palermo nel 1992; e che è caratterizzata da una progressiva penetrazione dell’economia illegale in quella legale, attraverso il riciclaggio e con la sua internazionalizzazione.

A ciò si è aggiunta la crescita o quanto meno la manifestazione esterna e percepita della corruzione, che è resa evidente dalle note vicende di Tangentopoli e dalla cosiddetta reazione di Mani pulite, nei primi anni ‘90. Si è aggiunta la nascita e poi la proliferazione di una criminalità finanziaria ed informatica che inquina i mercati. Essa è caratterizzata dalla aggressione al risparmio diffuso attraverso nuovi strumenti e prodotti finanziari. È favorita dallo sviluppo e dalla sempre crescente internazionalizzazione dei mercati; dai progressi della tecnologia informatica; dalla confusione legislativa inevitabile in un contesto di multilevel e di pluralità delle fonti governative.

14. Non è stata esaltante la reazione alla crescita e alla progressiva modifica delle forme di aggressione criminale alla sicurezza, alla convivenza e ai loro riflessi sul piano dell’economia, della finanza e dei mercati. Alcuni interventi positivi non possono essere sottovalutati o dimenticati. Penso alla introduzione nel 2001 della responsabilità - ibrida perché definitiva amministrativa, ma a contenuto penale - per le persone giuridiche interessate dal crimine soprattutto economico.

Penso alla introduzione nel 2015 della responsabilità penale in materia ambientale. Quest’ultima responsabilità è rivolta fra l’altro alla introduzione di fattispecie di aggressione all’ambiente in una prospettiva più ecocentrica che antropocentrica; alla definizione dell’inquinamento e del disastro ambientale; alla sostituzione delle precedenti sanzioni pressoché bagatellari per l’inosservanza di prescrizioni amministrative del tutto insufficienti.

Resta un problema di fondo al di là di numerosi profili tecnici suscettibili di miglioramento in entrambi i settori. È costituito dall’individuazione di ciò che deve punire la fattispecie incriminatrice. Il contenuto di merito (l’individuazione e tutela dei beni giuridici; la definizione delle condotte di loro aggressione) e le sue caratteristiche di metodo (il processo, le sue regole e le relative garanzie) devono essere indirizzati allo scopo di punire fatti attribuibili ad una singola persona e non a fronteggiare - di volta in volta - l’intero fenomeno criminale.

Lo impongono i principi della personalità della responsabilità penale (art. 27 co. 1 Costituzione); di legalità nella sua duplice accezione di precisione e determinatezza della fattispecie e di tassatività nell’interpretazione giurisprudenziale; di materialità del fatto (art. 25, co. 2 Costituzione); di tendenza rieducativa della pena (art. 27, co. 3 Costituzione).

Il nostro sistema costituzionale penale è costruito su una dimensione personalistica: l’autore del reato; il fatto e la relativa condotta eventualmente seguita da un evento ad essa causalmente legato; la consapevolezza e la partecipazione dell’autore di quella condotta a livello effettivo o potenziale di volontà; la rimproverabilità; le conseguenze del fatto e della responsabilità in tema di pena e di rapporto con la vittima.

15. Con evidenza un simile sistema in primo luogo deve avere come punto di riferimento una persona (o più persone fra loro collegate e “concorrenti”) e uno o più fatti; non un “fenomeno” o un “sistema criminale” che, in quanto tale, giustifica e richiede diversi autori e interventi, limiti e garanzie, soggetti e strumenti di prevenzione e di sanzione.

In secondo luogo un simile sistema “personalistico” per sua natura e per tradizione consolidata è caratterizzato da costi elevati in termini di organizzazione e di garanzie; dalla loro complessità; da disciplina nell’acquisizione di prove, contraddittorio e difesa; da coinvolgimento della libertà personale. Deve perciò costituire l’extrema ratio, quando proprio non se ne può fare a meno.

Altrimenti fra l’altro si rischia una ennesima “truffa delle etichette”: il ricorso a misure di prevenzione personale o patrimoniale per sostituire la condanna e una pena per un reato difficile da provare. Si rischia altresì la spettacolarizzazione mediatica del processo e la possibilità che questo sia influenzato dalla ricerca del consenso e condizionato dalle attese delle vittime, se non addirittura dalla folla.

In terzo luogo la crisi del sistema penale si accentua con riferimento alle sue conseguenze: la pena, le sue modalità di esecuzione, la sua effettività; senza poter entrare in questa sede nel merito dei problemi e delle contraddizioni della esecuzione penale. Quest’ultima deve essere fondata soltanto sulla privazione della libertà personale, nel rispetto del senso di umanità e dei “residui di libertà” compatibili con la “sicurezza” e con una reclusione legittima.

16. Un ulteriore problema merita di essere richiamato, a proposito del rapporto fra criminalità organizzata e criminalità contro la pubblica amministrazione (Mafiacity e Tangentopoli). La pericolosità di entrambe è fuori discussione, ma sotto profili assai diversi: nel primo caso è l’omertà come frutto della violenza e della intimidazione; nel secondo caso è l’omertà come coefficiente essenziale delle trattative illecite e quindi della loro necessaria clandestinità. Non vi è dubbio che può esservi (e spesso vi è) sinergia fra criminalità organizzata e criminalità corruttiva. La prima, nel suo percorso di infiltrazione dalla economia illegale a quella legale, spesso e volentieri ricorre alla corruzione quando può non fare uso di violenza, o per accentuare con il metus dell’intimidazione la proposta corruttiva. Ma ciò non vuol dire una comune identità, tale da giustificare una sorta di doppio binario rispetto alla “criminalità comune” (penso all’obbligo di collaborare sia nei reati di criminalità organizzata che in quelli di corruzione, posto a base dell’ergastolo ostativo per entrambi e solo recentemente rimosso).

L’emergenza della violenza può entro certi limiti giustificare l’eccezionalità legata alla peculiarità della organizzazione criminale; ma non può giungere ad assimilare fra loro due realtà ontologicamente diverse come l’organizzazione e una trattativa bilaterale a due, inserendo quest’ultima in un sistema.

Ho sentito parlare per la prima volta di “necessità di smantellare il sistema corruttivo rendendo inaffidabile per esso il soggetto che collabora” a Milano, in occasione delle indagini di Mani pulite. Solo successivamente quel concetto è stato recepito a Palermo e poi in via legislativa generale per la criminalità organizzata: una “singolare” inversione di metodo che ha finito per trasformare una libertà (di collaborare) in una sorta di obbligo per non subire un carcere più “duro”.