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di Vincenzo Giglio

terzultimafermata.blog, 1 settembre 2023

Reclamo avverso i provvedimenti di applicazione o di proroga del regime ex art. 41-bis: vizi denunciabili. Cass. pen., Sez. 1^, sentenza n. 36216/2023, udienza camerale del 27 giugno 2023, conferma l’attuale rigore interpretativo riguardo al regime ex art. 41-bis, Ord. pen., nei termini che seguono.

Va premesso che avverso il provvedimento emesso dal Tribunale di sorveglianza in sede di reclamo, circa l’applicazione o la proroga del regime differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. pen., è ammesso ricorso per cassazione in rapporto alla sola violazione di legge (art. 41-bis comma 2-sexies ord. pen.), con il limite, per la Corte di legittimità, di rilevare l’assoluta carenza di motivazione, intesa come mancanza grafica della stessa o come redazione di un testo del tutto sfornito dei requisiti minimi di logicità e aderenza ai dati cognitivi acquisiti, tale da rendere incomprensibile il percorso giustificativo della decisione, non riscontrato nella specie.

Detto limite al sindacato di legittimità, così regolamentato, comporta, altresì, l’impossibilità di rilevare l’omessa enunciazione delle ragioni per cui il Tribunale non abbia ritenuto rilevanti taluni argomenti o documentazione prodotta dalla difesa, sempre che i dati assunti a fondamento della decisione siano sufficienti a sostenerla e non risultino intrinsecamente apparenti o fittizi (tra le altre, Sez. 1, n. 37351 del 6/05/2014, Rv 260805).

Decreto di proroga - Va poi osservato che, in relazione al decreto di proroga del regime particolare in atto a carico del ricorrente, una volta convalidato dal definitivo rigetto della correlativa impugnazione, il precedente decreto applicativo, è sufficiente a reggere la legittimità di quello successivo la constatazione, alla luce della verifica dei parametri cognitivi indicati dal comma 2-bis dell’art. 41-bis Ord. pen., del mancato venir meno dei presupposti su cui era fondato il primo.

Inoltre, si deve rilevare che è sufficiente, da parte del Tribunale, accertare che la capacità del condannato di tenere contatti con l’associazione criminale non sia venuta meno e che detto accertamento va condotto anche alla stregua di una serie predeterminata di parametri, elementi da considerare attraverso l’indicazione di indici fattuali sintomatici di attualità del pericolo di collegamenti con l’ambiente criminale esterno (tra le altre, Sez. 7, ord. n. 19290 del 10/03/2016, Rv. 267248; Sez. 1 n. 18791 del 06/02/2015; Rv. 263508).

Elementi da tenere in considerazione per la proroga - Invero, ai fini della proroga del regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen., va apprezzato non tanto il concreto realizzarsi di momenti di collegamento esterno con il contesto di criminalità organizzata in ragione dell’elusione delle particolari disposizioni già predisposte per impedirli, quanto più propriamente la necessità di rendere ancora vigenti tali disposizioni, riscontrandosi - non necessariamente in considerazione di elementi sopraggiunti - la permanenza di quelle apprezzabili condizioni di pericolo che avevano giustificato originariamente il regime speciale (Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, Rv. 274912; Sez. 1, n. 41731 del 15/11/2005, Rv. 232892; Sez. 1, n. 36302 del 21/09/2005, Rv. 232114 secondo cui non occorre la prova positiva di un attuale e reale contatto tra il detenuto e il gruppo criminale, impedito dal regime restrittivo in atto, ma è necessario accertare che non risulti venuta meno la capacità di mantenerlo e che non persista il pericolo di futura e probabile strumentalizzazione dei mezzi di comunicazione consentiti nel normale trattamento penitenziario).

Va, infatti, verificata, a mente dell’art. 41-bis, comma 2, cit., la capacità di mantenere quei collegamenti a suo tempo riscontrati, anche tenendo conto di alcuni parametri elencati, in termini non esaustivi: il profilo criminale, la posizione rivestita all’interno dell’associazione, la perdurante operatività della stessa, la sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, gli esiti del trattamento penitenziario, il tenore di vita dei familiari del sottoposto; elementi tutti che devono essere considerati mediante l’indicazione di indici fattuali sintomatici di attualità del pericolo di collegamenti con l’esterno, non neutralizzata dalla presenza di indici dimostrativi di un sopravvenuto venir meno di tale pericolo (Sez. 5, n. del 30/05/2012, Rv. 253713; Sez. 1, n. 22721 del 26/03/2013, Rv. 256495), con la precisazione che, per espressa previsione normativa, il mero decorso del tempo, anche consistente, non costituisce elemento sufficiente a escludere o attenuare il delineato pericolo di collegamenti con l’esterno, posto che presupposto della proroga non è il pieno accertamento della perdurante condizione di affiliato al gruppo criminoso (che sarebbe oggetto di ben diversa prova), quanto una verifica dell’esistenza di elementi tali da far ragionevolmente presumere la tendenza alla continuità dei contatti con la realtà criminale di provenienza.

Ciò corrisponde alla finalità preventiva e inibitoria insita nell’adozione di limitazioni alle ordinarie regole di trattamento penitenziario. In quest’ottica non è, di conseguenza, necessario l’accertamento della permanenza dell’attività della cosca di appartenenza e la mancanza di sintomi rilevanti, effettivi e concreti, di una dissociazione del condannato dalla stessa, essendo sufficiente la potenzialità, attuale e concreta, di collegamenti con l’ambiente malavitoso che non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata con il regime carcerario ordinario (Sez. 1, n. 24134 del 10/05/2019, Rv. 276483; Sez. 1, n. 20986 del 23/06/2020, Rv. 279221).

Unificazione di pene in fase esecutiva: il regime differenziato può proseguire anche dopo l’espiazione della parte di pena inflitta per i reati indicati nell’art. 4-bis, Ord. pen. - Va ribadito che l’art. 41-bis, comma 2 ultima parte, Ord. pen., prevede che, una volta intervenuto il provvedimento di unificazione delle pene in fase esecutiva, la pena irrogata sia considerata, ai fini del regime speciale, “unica”, a prescindere se irrogata o meno per reati ostativi.

In applicazione di tale disciplina, il regime differenziato può essere disposto o prorogato anche quando sia stata espiata la parte di pena o di misura cautelare relativa ai delitti indicati dall’art 4-bis della medesima legge (Sez. 1, n. 18790 del 10 06/02/2015, Rv. 263555; Sez. 5, n. 44007 del 15/10/2009, Rv. 245097). La soluzione legislativa non contrasta con quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 32 del 2020 ove si è precisato che il divieto di applicazione retroattiva delle modifiche normative, concernenti le modalità esecutive della pena, non “costituisce la regola” sicché il legislatore, può legittimamente introdurre delle deroghe, specie se fondate sulla tutela di beni di rilevanza costituzionale con esso confliggenti. Va, infatti, evitato “un rigido e generale divieto di applicazione retroattiva di qualsiasi modifica della disciplina relativa all’esecuzione della pena” e l’”incontrollata creazione e proliferazione di regimi esecutivi paralleli” e, soprattutto, l’”introduzione di trattamenti penitenziari diversi tra detenuti … con tutte le intuibili conseguenze sul piano del mantenimento dell’ordine all’interno degli istituti, che è esso pure condizione essenziale per un efficace dispiegarsi della funzione rieducativa della pena”.

Il legislatore, attraverso la regola fissata dall’art. 41-bis, comma 2 ultima parte, Ord. pen, ha inteso evitare che il trattamento penitenziario dei detenuti sottoposti al regime speciale, dei quali, sia pure in relazione alla pena irrogata per i reati ostativi, è stata accertata l’elevata ed attuale pericolosità, in quanto in grado di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata ove sottoposti al regime ordinario, improvvisamente muti nel corso dell’esecuzione unitaria e senza soluzione di continuità, irrimediabilmente frustando le esigenze preventive rimaste, invece, immutate. In caso contrario, si creerebbe un irragionevole trattamento differenziato tra detenuti nella identica situazione perché parimenti condannati per reati ostativi e parimenti pericolosi.

Né la regola della pena unica ai fini del regime speciale viola l’unico limite invalicabile al divieto di irretroattività che concerne “le modifiche normative in grado di determinare una trasformazione della natura della pena e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato”, situazione che si verifica, per esempio, quando al momento del fatto sia prevista una pena suscettibile di essere eseguita “fuori” dal carcere” e, per effetto di una modifica normativa sopravvenuta, la sua esecuzione debba avvenire di norma “dentro” il carcere.

Del resto alla stregua della disciplina normativa attualmente in vigore e degli interventi correttivi della Corte costituzionale, il regime differenziato determina una sospensione delle regole del trattamento comuni agli altri detenuti solo temporanea, persegue finalità di prevenzione dei reati indipendentemente dalla espiazione della pena e non impedisce al detenuto né di continuare ad usufruire dei benefici penitenziari, sia pure con limiti più rigorosi, né di partecipare al percorso rieducativo che non viene interrotto,’ ma anzi agevolato dalla la rescissione dei “collegamenti” con l’organizzazione di appartenenza.

Infine, è appena il caso di osservare che non sussiste alcuna incompatibilità strutturale tra l’adozione del regime carcerario differenziato, di cui all’art. 41-bis Ord. pen., e i contenuti degli artt. 3 e 8 della Convenzione. Al riguardo, quanto all’art. 8, si rileva che trattasi di una misura “dettata dalla necessità di neutralizzare l’allarme sociale derivante dal mantenimento da parte del detenuto di relazioni con l’esterno del carcere”; quanto all’art. 3, si osserva che il regime speciale ha natura temporanea e assicura al detenuto spazi minimi e incomprimibili di relazionalità oltre che il controllo giurisdizionale sulle ragioni giustificatrici del provvedimento originario e delle eventuali sue proroghe e sulla tipologia delle limitazioni imposte (Sez. 1, n. 44149 del 19/04/2016, Rv. 268294, che ha richiamato, in motivazione, Corte cost. n. 190 del 2010).