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di Luigi Ferrarella

Corriere della Sera, 2 febbraio 2024

In carcere ingiustamente per quattro mesi un 35enne del Bangladesh. “Solo” quattro giorni di reclusione per un cinese scambiato per un suo omonimo. Dovrebbe essere la massima garanzia teorica contro errori di identificazione e false generalità: il “Cui-Codice univoco identificativo”, stringa alfanumerica assegnata dai reparti scientifici delle forze dell’ordine al fotosegnalamento e alle impronte digitali di uno straniero, e da lì in poi “vangelo” per gli uffici giudiziari che vi si basano per i vari provvedimenti.

Eppure disfunzioni proprio nell’abbinamento del codice non hanno impedito che a Milano, per due volte negli ultimi 20 giorni, due cittadini stranieri assolutamente regolari siano stati arrestati per sbaglio in esecuzione di condanne definitive, al posto dei condannati “giusti” da catturare: scambi di persone con identiche generalità e date di nascita, costati quasi 4 mesi di carcere ingiusto al bangladese, e per fortuna solo 4 giorni al cinese.

È nel ristorante in centro, dove ha un contratto di lavoro fisso, che un 35enne del Bangladesh, con permesso di soggiorno e casa in affitto, il 20 ottobre 2023 non si capacita di essere portato via in forza di un ordine dei pm di fargli scontare 3 anni per rissa aggravata (con morto) nel 2020. A un legale contattato dalla famiglia dall’altra parte del mondo, Francesca Nosetti, occorre una lunga e farraginosa ricerca a ritroso di documenti per prima risalire al cartellino contenuto nel fascicolo processuale, dove la foto dell’imputato non è quella del suo assistito; poi per ottenere dal Dap-Ministero della Giustizia la risposta che lui (diversamente dal vero condannato) non fosse mai stato prima in carcere 11 mesi in custodia cautelare; e infine poter quindi argomentare il 24 gennaio 2024 alla Procura (che in una manciata d’ore ne ordina a razzo la scarcerazione) quanto può essere successo nell’assenza, allo stato inspiegabile, del codice “Cui”.

E cioè che uno dei fermati nel 2020 per la rissa, irregolare in Italia e poi espulso in Bangladesh dopo la custodia cautelare, avesse dato generalità e codice fiscale dell’ignaro connazionale, del quale ora in fase di esecuzione della condanna questa identità “sbagliata” sarebbe stata ribadita dalla polizia sulla base evidentemente di un erroneo fotosegnalamento a monte. Liberato, il bangladese ha però intanto perso il lavoro perché il titolare del ristorante e i colleghi, che lo videro arrestare dai carabinieri, forse faticano a credere a una storia in effetti quasi incredibile se non la attestassero le carte.

Ancora più pericoloso l’errore di abbinamento di un codice altrui a un 53enne cinese regolare in Italia e in procinto di volare da Malpensa in patria a trovare la famiglia, che il 5 gennaio 2024 resta stordito dall’arresto per scontare 1 anno e 4 mesi per ricettazione di telefonini contraffatti con una società di Milano nel 2013. Se fa in carcere “solo” 4 giorni lo deve alla sensibilità di un agente di polizia penitenziaria del carcere di Busto Arsizio, G.C., che non fa spallucce di fronte a chi in uno stentato italiano giura di non essere mai stato in vita sua a Milano: allerta subito la polizia di Malpensa, che la sera dell’8 gennaio avvisa l’Ufficio esecuzione della Procura di Milano, dove i pm l’indomani scarcerano l’uomo dopo che la polizia comunica che in effetti il suo permesso di soggiorno risulta rilasciato nel 2016 dalla Questura di Alessandria, anziché (come il suo omonimo e vero condannato tutto diverso in foto) nel 2009 dalla Questura di Milano.