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di Riccardo Polidoro*

Il Riformista, 17 febbraio 2024

Occorrono subito provvedimenti come l’indulto, l’amnistia, la liberazione anticipata speciale, misure (pene) alternative. Dopo le raccapriccianti percosse subite dai detenuti il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, le cui immagini suscitarono lo sdegno dell’intero Paese e l’immediato intervento presso l’istituto di pena dell’allora Presidente del Consiglio, Mario Draghi e del Ministro della Giustizia, Marta Cartabia che dichiararono: “Occorre attivarsi per comprenderne e rimuoverne le cause perché fatti così non si ripetano”, in questi giorni è stato pubblicato il video dell’inaudita violenza nei confronti di un detenuto da parte della Polizia Penitenziaria nel carcere di Reggio Emilia, del 3 aprile scorso.

Le immagini, replicate più volte sui media, hanno riaperto il dibattito sul delitto di tortura, che ha visto, sin dalla sua entrata in vigore ed ancora oggi, posizioni contrastanti in seno ai partiti politici. C’è chi lo ritiene non sufficiente a scongiurare nuovi pestaggi e chi, invece, lo vede come un ingiustificato limite all’azione della Polizia.

La verità è che i due episodi citati sono solo quelli più eclatanti e che ci sono diverse Procure della Repubblica che indagano su fatti analoghi. La violenza in carcere tra Polizia e detenuti e tra gli stessi detenuti, non è altro che la punta dell’iceberg dovuta alle condizioni a cui è ridotto il nostro sistema penitenziario. Ogni giorno ne abbiamo conferma. Suicidi, atti di autolesionismo, assenza di programmazione educativa e di responsabilizzazione del detenuto, luoghi lugubri, fatiscenti e antigienici, carenza di organici tra agenti, psicologhi, assistenti sociali, mediatori culturali.

È come se si vivesse in cattività gli uni contro gli altri, un luogo dove prevale la legge del più forte. Non è questo il carcere previsto dalla nostra Costituzione, dall’Ordinamento Penitenziario e dalle norme europee. Fino a quando non si cambierà rotta, entrando nel porto della legalità, episodi come quelli che siamo stati costretti a vedere e i detenuti a subire, ci saranno ancora. Le mura di un carcere dovrebbero essere trasparenti e l’Amministrazione Penitenziaria messa in grado di svolgere la sua attività nel rispetto della Legge, dandone conto al Parlamento e quindi ai cittadini. L’esecuzione della pena ha il principale scopo di migliorare il detenuto e prepararlo al ritorno in libertà.

L’opinione pubblica dovrebbe mostrare maggiore interesse per l’Esecuzione Penale, perché da essa dipende la stessa qualità della vita del Paese. Le trasversali responsabilità politiche, aldilà di sterili annunci, dimostrano il totale disinteresse dello Stato per quanto avviene negli istituti di pena. Un’extraterritorialità che vige da tempo in un luogo dove tutto può accadere. Sono sempre più spesso denunciate vere e proprie piazze di spaccio di stupefacenti e traffici di telefonini, in una situazione spesso fuori controllo, dove vi sono interessi economici e di potere in gioco che conducono ad azioni violente per dimostrare chi comanda.

L’intervento dello Stato deve essere immediato. Il costante sovraffollamento, con 400 detenuti in più al mese, renderà sempre più ingestibile la vita in carcere. Occorrono subito provvedimenti come l’indulto, l’amnistia, la liberazione anticipata speciale, misure (pene) alternative e le risorse necessarie perché venga attuata la Riforma dell’Ordinamento Penitenziario elaborata dalle Commissioni Ministeriali, dopo i lavori degli Stati Generali, nel rispetto di quanto la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ci ha chiesto dal 2013. Riforma già scritta e pronta per essere attuata.

*CoResponsabile Osservatorio Carcere UCPI