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di Donatella Stasio

La Stampa, 21 settembre 2023

Onu e Ue ci impongono di punire l’arricchimento illecito e il danno causato da un pubblico ufficiale. La riforma Cartabia sgonfia la presunta necessità del “colpo di spugna” a tutela dei colletti bianchi. Pesanti come pietre, ecco che (altre) due voci di autorevoli giuristi piovono sulla proposta Nordio di cancellare il delitto di abuso d’ufficio. Franco Coppi, avvocato di fama e di grande esperienza, e Giorgio Lattanzi, presidente di Cassazione, poi della Consulta e ora della Scuola della magistratura, disintegrano quello che per il Guardasigilli è un punto fermo della riforma della giustizia, necessario a liberare i sindaci dalla “paura della firma” e quindi a restituire slancio alle opere pubbliche. Riforma prioritaria, insiste Nordio. Ma quando mai, ribatte Coppi, fosse per me, l’avrei messa in fondo alle riforme; altri sono i problemi della giustizia che, come un rosario, l’avvocato comincia a sgranare e che non saranno risolti, aggiunge dando un ulteriore dispiacere al ministro, neanche dalla separazione delle carriere. Nelle stesse ore, al Senato, Lattanzi viene ascoltato dalla commissione Giustizia e trasecola di fronte all’argomento forte - si fa per dire - usato dal governo per giustificare il colpo di spugna sull’abuso d’ufficio. Ma come, osserva il presidente: nella relazione al Ddl si parla solo dello squilibrio tra le poche condanne definitive, 18 nel 2021, e le tante, 4.745, iscrizioni nel registro degli indagati avvenute nello stesso anno, e non si dice una parola sulla gravità del reato, sul suo effetto deterrente. Eppure parliamo di condotte che consistono in un arricchimento illecito o in un danno provocato ad altri da un pubblico ufficiale. Condotte che sia l’Europa che l’Onu ci impongono di punire nell’ambito della lotta alla corruzione, e gli obblighi internazionali si rispettano, è un dovere costituzionale, dovrebbero saperlo governi e parlamenti nazionali.

L’uno-due di Coppi e di Lattanzi (raccontato ieri solo su due quotidiani, La Stampa e Il Dubbio) è micidiale per il governo. Si tratta di due voci molto autorevoli, che peraltro si aggiungono a molte altre e che spingono ancora di più nell’angolo una maggioranza obiettivamente in difficoltà, anche alla luce dei dati ministeriali più recenti, sia pure parziali. Per la verità, la cancellazione dell’abuso d’ufficio imporrebbe, prima di diventare legge, un monitoraggio quotidiano della situazione, tanto più che negli ultimi tre anni sono intervenute due riforme cruciali: quella del 2020, che ha scarnificato il reato, e quella Cartabia, che ha introdotto importanti novità sui criteri di iscrizione delle notizie di reato. Insomma, il detto einaudiano “conoscere per deliberare” dovrebbe essere, per il governo, un imperativo categorico di fronte al Parlamento.

Ma tant’è: interpellato, il ministero dice di disporre solo di numeri parziali e ancora limitati al 2022. Forse la prossima settimana, chissà, arriverà qualcos’altro. Intanto, però, anche i dati del 2022 sulle iscrizioni confermano il trend in diminuzione degli ultimi anni: se nel 2021 i procedimenti aperti sono stati 4.745, nel 2022 sono scesi a 3.938; se l’azione penale è iniziata in 452 casi nel 2021, nel 2022 i casi sono diventati 360. Se poi dal ministero ci spostiamo in Cassazione, vediamo che quella progressiva riduzione dei procedimenti aperti e di quelli andati al dibattimento ha un riscontro anche nel numero di sentenze riguardanti l’abuso, talora contestato insieme ad altri reati. Dalle 313 sentenze del 2017 siamo scesi alle 179 del 2022 (erano 191 nel 2021), e fino a ieri si contavano 103 pronunce. Insomma, i primi dati degli ultimi due anni sdrammatizzano paure e allarmismi rispetto a un reato che continua ad avere, eccome, una funzione nella “palude infetta” - così la chiama un altro grande giurista, Tullio Padovani - del disordine del nostro sistema amministrativo, dove i controlli interni purtroppo fanno acqua da tutte le parti (e questo governo non se ne preoccupa, anzi).

Ma c’è anche un altro dato, stavolta non numerico, che dovrebbe indurre a maggiore cautela prima di passare il colpo di spugna sull’abuso d’ufficio. L’11 settembre, il Procuratore della Repubblica di Perugia Raffaele Cantone ha emanato una direttiva che, alla luce della riforma Cartabia diventata operativa solo dicembre 2022, mette fine agli automatismi (residui) nelle iscrizioni delle notizie di reato non corroborate da significativi elementi di fatto. Non basterà più una qualunque denuncia, un esposto, presentati spesso anche per ragioni politiche contro questo o quell’amministratore, per aprire a suo carico un procedimento, ma sarà necessaria “la rappresentazione di un fatto caratterizzato da determinatezza e non inverosimiglianza, riconducibile a una fattispecie incriminatrice”. Dunque non bastano più illazioni o ipotesi, ma servono fatti specifici, descritti in modo da capire bene quale sia la condotta incriminata e che non appaiano improbabili. Occorrono poi indizi a carico della persona denunciata e non semplici sospetti.

Lo stesso Cantone scrive che la riforma Cartabia ha una “portata selettiva” rispetto alle situazioni borderline, ovvero ai casi di esposti/denunce/comunicazioni di notizie di reato in cui sono indicati fatti effettivamente verificatisi ma le conclusioni si fondano su mere ipotesi. Cantone fa l’esempio della denuncia di un comportamento illegittimo di un funzionario pubblico, che viene qualificato, senza fornire alcun elemento di supporto, come finalizzato a danneggiare o favorire qualcuno. In casi come questi, in passato, le Procure andavano ciascuna per conto proprio, alcune iscrivevano, altre no. La riforma Cartabia, dice Cantone, ha offerto “una più sicura base giuridica” e conferma che per iscrivere una persona nel registro degli indagati occorrono specifici fatti indizianti e non semplici sospetti.

Quella del Procuratore di Perugia non è un’iniziativa isolata. A monte c’è un’ampia circolare della Procura generale della Cassazione, emanata a gennaio, sull’attuazione della riforma Cartabia, e rivolta a tutti gli uffici del Pm. In sostanza, il combinato disposto della riforma del 2020 che ha ridotto all’osso l’abuso d’ufficio e della riforma Cartabia sui criteri più stringenti per l’iscrizione delle notizie di reato sgonfia la presunta urgenza e necessità del colpo di spugna che il governo vuole passare su questo delitto, tutelando così solo i colletti bianchi e non i diritti delle persone più deboli. Per di più, violando gli obblighi internazionali e le direttive che l’Europa - la stessa alla quale la premier Meloni si è appena rivolta per chiedere il rispetto degli impegni presi sui migranti - ci chiede di rispettare nella lotta alla corruzione e che sono un vincolo di rilievo costituzionale sul quale non si può passare un colpo di spugna.