sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Antonella Mascali

Il Fatto Quotidiano, 2 giugno 2023

In commissione la testimonianza del procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, preoccupato per le infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione. Il gioco poliziotti buoni-poliziotti cattivi dentro al governo è all’ordine del giorno su più fronti, ma in particolare su quello economico e sulla Giustizia. Ma dopo le solite schermaglie tra i garantisti dei colletti bianchi a viso aperto di Forza Italia e i fautori di “ordine e sicurezza” - a fasi alterne - di Fdi e Lega, si ricompattano e si prosegue sulla via dei colpi di spugna del Codice penale compreso la depenalizzazione dell’abuso d’ufficio anche se, alla Camera, i magistrati che sono stati chiamati in commissione Giustizia, spiegano uno dopo l’altro che non si può cancellare quel reato. Ma il ministro Nordio ha ri-promesso la imminente riforma, dopo il sì di Lega e Fdi che avrebbero voluto svuotare l’abuso d’ufficio in maniera più “chirurgica” per paura, specie della Lega, che i sindaci si ritrovassero con imputazioni per “reati più gravi”. Remore dissolte dalla garanzia di Nordio di mettere mani complessivamente ai reati contro la pubblica amministrazione.

Il ministro al Senato ha pure evocato il codice di Mussolini per giustificare la “radicale” riforma: “Il nostro Codice di procedura penale, voluto da una medaglia d’argento della Resistenza come il professor Vassalli, gode di pessima salute perché è stato demolito varie volte da interventi della Corte Costituzionale. Il paradosso è che il codice penale di Mussolini, invece, gode di ottima salute”. Sempre al Senato Enrico Costa, di Azione, ex FI, ha presentato insieme a Carlo Calenda la proposta per depenalizzare il reato di abuso d’ufficio, lo farebbe diventare una sanzione amministrativa, una “battaglia di civiltà” per Calenda. Nei giorni precedenti e successivi alle dichiarazioni di Nordio, in commissione Giustizia della Camera i magistrati chiamati per dare un parere tecnico in materia hanno messo in luce, ancora una volta, che il piano del governo è in rotta di collisione con gli organismi internazionali e non tiene conto, come ha ben detto il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, delle infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione: “Credo sia doveroso richiamare l’attenzione del dibattito pubblico sullo stato di profondo diffuso condizionamento criminale dei comportanti della pubblica amministrazione. Basterebbe guardare allo stato delle amministrazioni sciolte in 30 anni per accertati condizionamenti della criminalità mafiosa per toccare la concretezza dei problemi dell’assenza di ogni filtro, controllo, prevenzione”. E ancora: c’è un “profondo e diffuso condizionamento criminale dei comportamenti della pubblica amministrazione”, con i clan che, non solo al Sud, tendono a “entrare sempre più direttamente a contatto” con sindaci e assessori.

Altro che svuotamento dell’abuso d’ufficio, il tema vero, ha aggiunto Melillo, è quello dei controlli interni alla Pubblica Amministrazione che “non esistono e quelli previsti dalla legge sono ridotti a mera cosmesi. Credo che il giusto obiettivo di ridimensionare la paura della firma non può esaurirsi nell’aggravare la frammentazione e l’incoerenza del sistema dell’incriminazione. I timori di invasione indebita della sfera di discrezionalità che deve essere riservata all’autorità amministrativa è un tema che avrebbe più credibilità se fosse accompagnato dalla rivendicazione dell’introduzione nel sistema di controlli interni alla pubblica amministrazione, in grado di tenere lontano il rischio dell’intervento giudiziario. È invece questo uno dei temi che resta fuori dal dibattito politico”.

Non a caso il procuratore nazionale sottolinea quello che è sotto gli occhi di tutti e che molti fanno finta di non sapere, ovvero la riforma dell’articolo 323 del codice penale, l’abuso d’ufficio, del 2020, che ha circoscritto le condotte penali. Ha detto Melillo: “I rischi di espansione di una discrezionalità giudiziaria rispetto all’attività amministrativa dopo la riforma del 2020 sono confinati in ambiti assolutamente marginali. E questo riguarda non solo l’abuso di ufficio ma anche il traffico di influenze (che la maggioranza vuole eliminare, ndr), i cui termini sono stati ricondotti nelle salde mani dei principi costituzionali di tassatività delle previsioni” e le successive pronunce della Cassazione hanno “fugato ogni rischio di applicazioni incaute” delle norme che puniscono questi reati. Il procuratore a supporto delle sue tesi ha snocciolato cifre: “L’ 85% delle denunce viene archiviato” dai pm e le condanne “nel 2021 sono solo 18”. Anche le denunce sono “significativamente diminuite tra il 2020 e il 2021”. Poi, un passaggio sembrato a qualcuno in Commissione polemico ma vero: gli amministratori che agitano “la paura della firma” sono quelli che governano e quelli che, invece, “passano all’opposizione sono spesso i promotori delle denunce che sollecitano l’intervento del giudice”.

Contro il progetto del governo di neutralizzare l’abuso d’ufficio c’è stata una presa di posizione per molti inaspettata, sicuramente di peso, quella del molto influente ex sotto segretario alla presidenza del Consiglio del governo Draghi, Roberto Garofoli, di nuovo presidente di sezione del Consiglio di Stato: con la riforma c’è il pericolo di dare vita a un “liberi tutti”.

Anche Garofoli evoca la riforma del governo Conte, che ha già messo in “salvo” gli amministratori, pure troppo, secondo diversi magistrati, prevedendo solo il “dolo” come punibilità mentre, ha spiegato il consigliere di Stato, “di frequente gli abusi - anche i più odiosi - si annidano proprio nell’esercizio della discrezionalità”. Dunque, quando avremo, pare a stretto giro, la cancellazione dell’abuso d’ufficio formalmente o, più probabilmente, di fatto, con modifiche “machiavelliche”, l’impunità a 360 gradi sarà garantita e anche la minaccia mafiosa e l’infiltrazione delle cosche potrà aumentare a dismisura.