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di Simona Musco

Il Dubbio, 10 gennaio 2024

A favore la maggioranza con Italia Viva, contrari Pd, M5S e Avs. E ora la Lega vuole riscrivere la legge Severino. La maggioranza blinda l’abolizione dell’abuso d’ufficio. Con il voto unanime di FdI, Lega e Forza Italia, appoggiati da Italia Viva, con Ivan Scalfarotto, in Commissione Giustizia al Senato, dove ieri è iniziato il voto degli emendamenti al ddl Nordio.

L’assalto di Pd, M5S e Avs, che avevano presentato emendamenti correttivi del ddl, nella speranza di mantenere e meglio definire l’articolo 323, è dunque fallito. Con buona pace dell’Anm, che lunedì aveva ribadito, per voce del presidente Giuseppe Santalucia, i rischi corsi dal nostro Paese in caso di cancellazione del reato, un vuoto di tutele che susciterà sicure reazioni da parte dell’Unione europea. Anche perché a breve verrà approvata una direttiva europea che prevede la sanzione di pratiche assimilabili all’abuso d’ufficio.

Il Pd, nel tentativo di bloccare la norma e andare incontro alle preoccupazione dei propri sindaci, aveva chiesto di definire meglio le responsabilità della politica, da distinguere in maniera tassativa da quelle dei funzionari. Ma nulla da fare, nonostante a chiedere cautela sia stato, mesi fa, anche il Presidente della Repubblica: così come stabilito dal vertice di lunedì a via Arenula, il dietrofront non è previsto. Poco prima dell’inizio del voto era stato il viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, a ribadire il punto di vista del governo. “Sull’abuso d’ufficio esiste un dato statistico inquietante: circa il 92-93% delle inchieste finisce in archiviazioni, proscioglimenti e assoluzioni - ha commentato intervenendo a Radio Rai Uno -. Vuol dire che il reato non svolge la funzione per cui è stato introdotto, conservando geneticamente un margine di incertezza intollerabile. Questo fa sì che si confonda molto spesso l’illecito amministrativo con quello penale, l’illegittimità con l’illiceità. Il difetto ipotizzato in una procedura viene scambiato molto spesso con indizi del reato di abuso: ciò implica che si inneschino inchieste che poi finiscono in una bolla di sapone ma che, nel frattempo, durano uno, due, tre anni. In questo periodo - ha proseguito - il sindaco o il dirigente di un ente resta indagato, con tutti i contraccolpi del caso. Si creano almeno due patologie: la prima è la paura dell’atto lecito, la seconda è il danno per l’immagine e per il percorso politico e personale, inaccettabilmente tipico di un Paese in cui vige pesantemente “il processo mediatico” elusivo della presunzione di non colpevolezza”.

Quanto alla posizione delle opposizioni, Sisto ha accusato di “pantomima” i sindaci di sinistra: “Da un lato ne vogliono l’abolizione - ha sottolineato -, dall’altro non vogliono che questo si sappia. La verità è che l’abuso d’ufficio è una sovrastruttura di cui è necessario liberarsi, anche perché, oltre alle altre ragioni, le inchieste hanno costi notevoli, sia in termini finanziari che di tempo, in spregio agli obiettivi di efficienza che devono contraddistinguere la dimensione moderna del processo penale”.

A uscirne vincente, dopo mesi di accuse di immobilismo, è il Guardasigilli Carlo Nordio, che ha subito espresso “grande soddisfazione” per i tempi stretti con cui la Commissione Giustizia “è arrivata al risultato odierno, con l’auspicio che la parte residua del disegno di legge venga altresì approvata nel minor tempo possibile”. L’abrogazione di “questo reato evanescente, richiesta a gran voce da tutti gli amministratori di ogni parte politica - ha aggiunto -, contribuirà ad un’accelerazione delle procedure e avrà quell’impatto favorevole sull’economia auspicato nei giorni scorsi dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni”.

E ad esultare è anche il deputato di Azione Enrico Costa. “L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio è sacrosanta - ha commentato -. Da tutti i partiti si sono levate grida di dolore di fronte al proliferare di avvisi di garanzia ai sindaci. Sono gli stessi partiti i cui consiglieri comunali - quando si trovano all’opposizione - usano molto spesso l’esposto in Procura anziché l’interrogazione. Così facendo sperano che un pm mandi un avviso di garanzia al sindaco, del quale sono pronti a reclamare le dimissioni. Se poi capita che arrivi una condanna in primo grado per abuso d’ufficio (quelle definitive sono rarissime) scatta la sospensione dalla carica. In tanti si sono quindi dimessi, salvo poi essere assolti in appello o Cassazione”.

A completare il quadro disegnato dal ministro della Giustizia per andare incontro all’Anci arriva anche l’intervento della Lega sulla legge Severino, per eliminare la parte che prevede la sospensione dalla carica dell’amministratore pubblico in presenza di sentenza non definitiva. La proposta, inizialmente presentata sotto forma di emendamento, è stata trasformata in ordine del giorno, impegnando il governo ad abrogare la norma, come chiesto dalla leghista Erika Stefani.

“Finalmente, si restituisce dignità a tutti quei sindaci che verranno considerati innocenti, al pari di tutti i cittadini, sino alla sentenza definitiva - ha dichiarato al termine della seduta di Commissione -. Una modifica necessaria, che risponde perfettamente al quesito previsto dal nostro Referendum per una riforma equa e imparziale del sistema giustizia”. Lo stesso atto impegna il governo a istituire un tavolo di lavoro per il riordino dei reati contro la pubblica amministrazione e un osservatorio che consenta di monitorare gli effetti dell’abolizione del reato di abuso d’ufficio, mentre è stata approvata una proposta di modifica della Lega che “tipizza meglio” il reato di traffico di influenze, ha spiegato la presidente della Commissione Giulia Bongiorno.

Per essere punibile, ora, il facilitatore dovrà sfruttare in maniera intenzionale il rapporto - che dovrà essere esistente e non ipotetico - con il pubblico ufficiale. Inoltre l’utilità deve essere “economica” e i soldi devono arrivare materialmente in mano al pubblico ufficiale “in relazione all’esercizio della sua funzione”. Non basterà, dunque, pagare il facilitatore: il denaro dovrà arrivare in mano all’utilizzatore finale. Tali decisioni hanno suscitato l’ira del M5S, intenzionato, invece, a regolamentare le attività di lobbying.

“La presidente Bongiorno ha dichiarato inammissibili i nostri emendamenti per rendere finalmente la normativa sul conflitto di interessi rispondente ai principi di diritto e per regolamentare le attività delle lobbies. Evidentemente per governo e maggioranza non sono temi prioritari - ha dichiarato Ada Lopreiato, capogruppo M5S in commissione Giustizia al Senato -, è una scelta gravissima anche alla luce delle commistioni di interessi e dell’atteggiamento predatorio dei comitati d’affari visibili a tutti in Italia. Era per noi essenziale aggiornare una normativa ferma dal 2004 e inserire finalmente una regolamentazione che gli addetti al settore attendono con ansia. Senza una normativa sulle lobbies ci saranno sempre più spesso comportamenti di soggetti che si muovono al di là del confine di ciò che è lecito. Senza una normativa sul conflitto di interesse sono ad oggi considerati leciti i rapporti tra un senatore della Repubblica e uno stato estero”.

La giornata di ieri è stata dedicata alle proposte di modifica dell’articolo uno, dopo la dichiarazione di inammissibilità di 26 emendamenti, ritenuti estranei all’oggetto del ddl. Sono 160, in totale, le proposte emendative, sulle quali continuerà oggi la discussione, a partire dalle 9.15, con il voto sugli emendamenti relativi all’articolo 2 del testo, che affronta il nodo della trascrizione delle intercettazioni a tutela del terzo estraneo al procedimento.