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di Alberto Cisterna

L’Unità, 24 giugno 2023

La Fortezza Bastiani. La sindrome dell’assedio con un nemico ancora invisibile, ma la cui presenza di percepisce giorno per giorno, oltre le mura rassicuranti e possenti, come una profezia cui non si può sfuggire e che si deve solo avverare.

La reazione di alcune toghe al disegno di legge governativo che abroga l’abuso d’ufficio risente, in qualche misura, della sindrome descritta da Dino Buzzati ne Il deserto dei tartari. Si teme che il colpo sia solo un prologo, l’inizio di una tempesta e di un destino a cui non è dato scampare, una inevitabile resa dei conti dopo 30 anni di una legittimazione e di una forza persuasiva che non temeva rivali e che annichiliva, alla fine, ogni disegno riformatore, anche quello animato dal più profondo risentimento e dalla più dolorosa rivalsa.

È legittimo chiedersi per quale ragione la cancellazione dal codice penale di un reato praticamente privo di ricadute applicative, con un risibile numero di condanne, con una premorienza investigativa altissima abbia messo in allarme alcuni pubblici ministeri, anche autorevoli, e indotto l’Anm a una posizione di contrarietà decisa e priva di tentennamenti. La risposta non è agevole.

È del tutto ragionevole immaginare che il reato di abuso resti in vita in tutti i casi in cui sia violato il dovere di astensione. Che la punizione derivi dall’articolo 323 Cp (come oggi) o da una diversa fattispecie contigua alla corruzione o alla concussione o al peculato non importa poi tanto, ma certamente il funzionario che nega illegittimamente la concessione edilizia al nuovo compagno dell’ex coniuge tiene un comportamento che si colloca ben oltre la sorte dell’impunità che l’abrogazione del reato comporta e par giusto ritenere che debba trovare ospitalità nel codice penale.

Nel dibattito parlamentare si potrebbe rinvenire uno spazio di mediazione appropriato, soprattutto tra gli amministratori locali che, certo, non possono invocare una licenza di firma anche in ipotesi di palese conflitto d’interessi e di violazione del dovere di astensione che rappresenta un caposaldo costituzionalmente irrinunciabile dell’attività amministrativa. Chiarito, quindi, che con un po’ di buona volontà una strada riformista resta praticabile, c’è da chiedersi cosa altro si celi in un certo allarmismo che ha subito circondato l’iniziativa di Nordio.

La questione è stata esplicitata in alcune interviste dove apertamente si è prefigurato il pericolo che il cittadino non si presenti più in procura a denunciare comportamenti scorretti degli amministratori, menomando così la posizione della magistratura intera nel proprio ruolo di titolare del cosiddetto controllo di legalità. La frase “mi domando da magistrato ed uomo che amministra giustizia cosa dirò a quell’onesto cittadino” che reclama l’intervento investigativo dopo l’abrogazione del reato riassume per intero quale sia il reale approccio al problema in una cerchia non esigua di inquirenti penali. Non importa l’esito dell’indagine, come visto quasi sempre nullo, quel che conta è l’esistenza di una sorta di “forza di reazione rapida” la quale, in presenza di una denuncia, sia in grado di inviare la polizia giudiziaria nell’ufficio amministrativo, di spedire informazioni di garanzia, di disporre sequestri, di interloquire più o meno correttamente con la stampa.

Un plesso fortificato, reattivo, minaccioso se occorre, che colloquia direttamente con il singolo cittadino che lamenta un torto dalla pubblica amministrazione e che è in grado di spendere la propria autorevolezza e la propria forza sostanzialmente in modo discrezionale, graduando la risposta a seconda di opinioni, visioni, pregiudizi, congetture. La possibilità di individuare, poi, l’organo di polizia giudiziaria in modo assolutamente incondizionato e libero e a esso affidare l’inchiesta avviata rappresenta il corollario più insidioso del protocollo operativo che si vuole difendere. Si badi bene, non si è al cospetto di interna corporis, di arcana imperii o di misteriose alchimie di potere, il perimetro difensivo di questa azione è esplicitamente e pubblicamente rivendicato da quanti ritengono che l’abuso d’ufficio sia un reato-spia, un campanello d’allarme per poi procedere alla ricerca di ulteriori, più gravi, nascoste ipotesi criminose.

In questa definizione di reato-spia si celano riti e sapienza di un certo potere inquirente che ritiene sia propria irrinunciabile missione quella di operare da cane da guardia del potere politico e amministrativo a prescindere da una precisa notizia di reato, ma semplicemente in quanto allertato dal singolo cittadino in una interlocuzione diretta e semplificata, a presa rapida. L’istanza di punizione o la denuncia, così, si atteggiano a presupposto irrinunciabile per insediarsi nella cittadella amministrativa e politica, soprattutto quando questa sia circondata da sospetti, scarsa capacità, opacità finanche antropologiche.

Un terreno contiguo, soprattutto nel mezzogiorno d’Italia, a quello delle interdittive antimafia, dello scioglimento dei comuni per mafia, delle misure di prevenzione in cui finanche le denunce contano, assumono rilievo e peso nell’alambicco misterioso e incerto dei presidi di inquisizione. Non è l’abuso d’ufficio in discussione. Lo si è detto la soluzione esiste e appare ragionevole. È il retroterra ideologico e culturale che lo sorregge a mostrare, per la prima volta, crepe e fessure pericolose. Una certa magistratura inquirente rischia di restare alla porta e di non poter violare i santuari opachi del potere politico amministrativo con incursioni che oggi sono possibili pur in presenza di episodi esigui, denunce approssimative, doglianze generiche fintanto che perduri l’attuale configurazione dell’articolo 323.

Non è un caso che a muoversi siano state innanzitutto tante toghe del mezzogiorno e dell’antimafia, perché proprio al Sud l’interlocuzione tra poteri e l’azione inquirente muovono dal pregiudizio di una contaminazione, di una collusione e di una convivenza per scardinare la quale occorre un passpartout che solo l’evanescenza descrittiva e precettiva del reato di abuso d’ufficio ha sinora consegnato. L’assedio è cominciato ed è stato condotto con millimetrica precisione. Se la Fortezza Bastiani cade tutto il resto (intercettazioni, custodia cautelare e via seguitando) è di secondaria importanza perché non intacca la base sostanziale di quel “controllo di legalità” che è la fonte della legittimazione politica che una certa magistratura ha perseguito e custodito in qualche decennio.