di Luigi Manconi
La Repubblica, 24 febbraio 2023
L’istituto giuridico esiste dai tempi di Hammurabi. Nel nostro Paese servono 4 anni e 5 mesi, oltre a 20mila euro per concludere la procedura. Fra le 282 leggi del Codice di Hammurabi era presente anche la norma riguardante “i diritti e i doveri degli adottandi e degli adottati”. Sin dal XVIII secolo a.C., quindi, a un soggetto era garantita la possibilità di estendere il proprio nome e la propria eredità a un altro soggetto, secondo determinate forme. Tale norma, riferita solo agli adottandi maggiorenni, era prevista anche nell’antica Grecia e nell’antica Roma, sempre con la finalità prioritaria di garantire un successore a chi non avesse avuto figli naturali o legittimi. Sappiamo, poi, che la pratica dell’adozione scomparve quasi del tutto nel Medio Evo per poi riapparire nel XVII secolo e quindi inclusa e regolamentata nel Codice Napoleonico. L’adozione del minore, invece, fu prevista solo molto più tardi, negli Stati Uniti prima e in Europa poi, intorno alla metà del XX secolo.
Per lungo tempo la disciplina italiana, in merito, ricalcò quella francese e solo nel 1942 fu abolito il divieto di adottare minorenni ma, ancora per alcuni anni, l’intero istituto restava finalizzato a soddisfare i bisogni successori e sociali dell’adulto. Nel 1967, finalmente, entrò in vigore la prima legge specifica sull’adozione, che prevedeva anche quella dei minori, denominata “adozione speciale”. Fu proprio in quell’anno che con la Convenzione di Strasburgo venne prevista, a livello europeo, la possibilità di garantire alla bambina o al bambino “in stato di abbandono” di diventare a pieno titolo figlio degli adottanti.
Nonostante che il bisogno e l’opportunità di adottare ed essere adottati abbiano radici antiche, l’applicazione di questo istituto è diventata via via sempre più complicata. Lo stesso ministero della Giustizia, nel suo sito, definisce sin da subito tale procedura come “complessa”. I requisiti per l’adozione, secondo la legge n. 149 del 2001, in sintesi, sono: essere sposati da almeno tre anni, avere buona salute mentale e fisica e una buona stabilità economica. E ancora: “la differenza minima tra adottante e adottato è di 18 anni; la differenza massima tra adottanti ed adottato è di 45 anni per uno dei coniugi, di 55 per l’altro. Tale limite è derogato se i coniugi adottano due o più fratelli, ed ancora se hanno un figlio minorenne naturale o adottivo”. Non è prevista, tranne casi eccezionali, l’adozione per i single o per le coppie omosessuali. Fin qui i requisiti minimi, ma l’intera procedura - specialmente nel caso delle adozioni internazionali - è lastricata di ostacoli burocratici, valutazioni dei servizi sociali, sentenze di Tribunali e, sempre nel caso di quella internazionale, costi a carico della famiglia mediamente pari a circa 20.000 euro.
Nel 2022 le adozioni internazionali andate a buon fine sono state 565, mentre le richieste che risultano ancora pendenti sono 2382. Venti anni fa, ricorda l’Istat, le adozioni internazionali erano state 3915. Secondo la Commissione Adozioni Internazionali, in sostanza, per adottare un figlio il tempo di attesa è di circa 4 anni e 5 mesi. Lo stallo attuale riguarda tanto l’Italia quanto gli altri Paesi, specialmente quelli in cui non vi è una qualche forma di stabilità di governo: si pensi che in Siria, dall’inizio del conflitto, le adozioni si sono di fatto fermate. A proposito di Siria e Turchia, pochi giorni fa l’Unicef ha sottolineato l’emergenza degli orfani terremotati: parliamo di migliaia di bambine e bambini sopravvissuti all’ennesima catastrofe che si è abbattuta in quei luoghi già terribilmente feriti.